È necessario superare il taboo delle perdite vaginali

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(Foto via Pixabay)

Nel corso della vita di una donna sono circa 2400, in media, i giorni di sanguinamento vaginale dovuto alle mestruazioni. Oltre al ciclo mestruale e alle lochiazioni post-partum, associate al normale funzionamento del sistema riproduttivo, altre perdite di sangue di varia intensità possono indicare problemi come infezioni, aborti, fibromi uterini, polipi, endometriosi, cancro della cervice. È quindi fondamentale saper riconoscere quando il sanguinamento e i sintomi che lo accompagnano indicano un’anomalia che potrebbe necessitare di un tempestivo intervento medico. Nelle regioni del mondo economicamente più avanzate il ciclo mestruale è considerato come un aspetto naturale dellessere donne: donne e ragazze hanno generalmente ampio e facile accesso alle informazioni e al supporto medico di cui potrebbero avere necessità. Un’eccezione sono quelle che, in paesi sviluppati, vivono in condizioni di povertà estrema. Un report pubblicato su BMJ Global Health evidenzia invece come nei paesi ancora in via di sviluppo fattori sia economici che culturali limitano le possibilità delle donne di accedere non solo a cure mediche ma anche alle normali pratiche igieniche durante il giorni di sanguinamento mestruale. Con importanti ricadute sulla salute delle donne.

La povertà e l’arretratezza dei paesi economicamente poco sviluppati costituiscono già di per sé un ostacolo all’accesso a servizi igienici e sanitari adeguati, o anche solo a fonti d’acqua pulita. Per le donne ottenere assistenza medica specifica è estremamente complesso: basti pensare che nelle regioni a basso reddito il numero di ostetriche varia tra 0.042 e 12.5 ogni 100mila abitanti. Gestire il ciclo mestruale è reso ulteriormente difficile da mancanza di informazione, formazione culturale, atteggiamenti sociali e impedisce alle donne nei giorni di sanguinamento di svolgere le loro normali attività quotidiane.

In molte società infatti il sanguinamento vaginale associato al ciclo mestruale è considerato qualcosa da tenere nascosto, o addirittura una ragione per allontanare (temporaneamente) le donne dal resto della comunità: in Nepal ad esempio, alle donne non viene consentito di dormire in casa durante il mestruo o nel periodo di sanguinamento successivo al parto. In altre culture alle donne mestruate non viene consentito di toccare fonti d’acqua, per non contaminarle. In questo contesto diventa molto difficile per le donne gestire le loro mestruazioni, seguendo norme base di igiene. In India, studi recenti hanno sottolineato un fenomeno distress psico-sociale” femminile legato proprio alle pratiche igieniche durante il ciclo.

Essendo l’argomento taboo, le donne non possono parlare liberamente del loro ciclo e spesso la prima mestruazione arriva senza che le ragazze siano preparate ad affrontarla o sappiano a cosa sia dovuta. In Etiopia e in Ghana, ad esempio, la mestruazione è percepita come qualcosa di cui vergognarsi o per cui essere punite. La situazione peggiora in caso di mestruazioni dolorose o irregolari, possibile indice di patologie, soprattutto nelle culture in cui la fertilità è considerata valore fondamentale per le donne: un ciclo irregolare potrebbe marchiare la donna come non abbastanza fertile e quindi non adatta al matrimonio.

Tutti questi aspetti costituiscono un rischio per la salute delle donne, che si trovano sole e impreparate ad affrontare sia la normalità del flusso mensile che eventuali sanguinamenti dovuti a patologie. Gli autori del report auspicano dunque che si riesca “rompere il silenzio intorno al sanguinamento vaginale di donne e ragazze” nei paesi in via di sviluppo attuando “programmi di educazione, formazione e comunicazione e gestiti a livello internazionale”.

Riferimenti: BMJ Global Health

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