Fare bene i calcoli è anche una questione di lingua

calcoli
(Foto via Pixabay)

I bilingui potrebbero avere più problemi nel fare a mente i calcoli aritmetici quando utilizzano la lingua in cui sono meno forti. Lo suggerisce uno studio condotto dall’Università del Lussemburgo, che ha visualizzato con immagini il modo in cui il cervello si attiva nel risolvere addizioni proposte in lingue diverse. I risultati, pubblicati su Neuropsychologia, confermano l’intima connessione fra le strutture lessicali e la matematica, due mondi tutt’altro che separati, ma sottolineano anche l’impatto della formazione primaria, quella delle scuole elementari.

Leggere, scrivere e imparare a fare i conti: sono queste le basi delle scuole primarie, le fondamenta del nostro percorso formativo. E le strutture lessicali intervengono nel dare sostanza ad alcune operazioni cerebrali, ad esempio quando dobbiamo risolvere problemi matematici che prevedono calcoli, un processo in cui dobbiamo recuperare informazioni verbali e numeriche accumulate nella memoria. L’impalcatura linguistica, dunque, è essenziale nella costruzione e nel mantenimento delle competenze matematiche. Ma in che modo cambiare lingua, ad esempio utilizzare l’inglese o il francese invece che l’italiano, interviene in questo complesso ingranaggio cerebrale che collega il linguaggio alla matematica?

Per rispondere a questa domanda, i ricercatori hanno studiato le abilità numeriche di un gruppo di volontari adulti. I partecipanti erano perfettamente bilingui e parlavano fluentemente il tedesco e il francese, tuttavia avevano ricevuto una formazione in tedesco alle scuole elementari, mentre il francese era stato insegnato come seconda lingua. Per mettere in relazione le capacità aritmetiche alla lingua utilizzata, gli autori della ricerca proponevano ai volontari delle addizioni da risolvere, alcune semplici ed altre complesse, che venivano fatte ascoltare loro tramite un disco registrato in tedesco e poi in francese. Una volta che i partecipanti avevano calcolato le somme, dovevano premere un pulsante e fornire il risultato. Nel frattempo, i ricercatori studiavano la loro attività cerebrale, mediante una risonanza magnetica funzionale, un’analisi che ha permesso di vedere quali aree si attivavano maggiormente e in quale momento del calcolo.

In base ai risultati, i partecipanti, pur essendo perfettamente bilingui, impiegavano un tempo inferiore nel risolvere le addizioni presentate in tedesco – la lingua principale studiata alle elementari – e commettevano meno errori sempre in questa lingua. Nel fare i conti proposti in tedesco si attivavano principalmente le strutture cerebrali classiche preposte alle operazioni verbali e numeriche, mentre al contrario, nel caso del francese – la seconda lingua di istruzione – non venivano utilizzati questi processi più tradizionali, ma si faceva maggiormente affidamento sul pensiero figurativo, cioè su immagini visive e su altri percorsi cerebrali, diversi da quelli che si attivano in chi parla una lingua sola. E sempre nel caso del francese, le aree cerebrali si attivavano spesso maggiormente e in maniera diversa. In pratica, spiegano gli autori, quando chiamati a usare la loro seconda lingua il francese, i partecipanti avevano bisogno di maggiori risorse cognitive. Così, il loro cervello doveva lavorare di più e diversamente. I risultati della risonanza magnetica, aggiungono gli autori, non indicano però che si sia attivato un processo di traduzione dal francese, la lingua in cui i partecipanti erano meno “forti”, al tedesco.

Il risultato, spiegano gli autori, mostra che la lingua e le sue strutture hanno un ruolo essenziale nel risolvere i problemi matematici. Dunque, fare i conti in una seconda lingua, anche se padroneggiata in maniera eccellente, potrebbe comportare maggiori difficoltà. E così, la lingua fornisce un altro pezzo del puzzle con cui la nostra mente riesce a risolvere calcoli anche molto complicati.

Riferimenti: Neuropsychologia

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