Cosa succede quando i ghiacci dell’Antartide si spaccano

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(Foto via Pixabay)

Il fenomeno che prende il nome di polinia – un’apertura che si formano in uno strato di ghiaccio – è stato osservato per la prima volta nel 1974, grazie ad alcune immagini ottenute dai satelliti NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration). Allora la polinia era un’apertura di circa 250mila kilometri quadrati nel ghiaccio del Weddell Sea, sotto il Sud America, che ha impiegato oltre 3 anni a richiudersi. Da allora, non è mai stata osservata un’altra polinia così grande. E oggi una nuova analisi dei modelli climatici globali pubblicata su Journal of Climate mostra le conseguenze a livello globale che queste anomalie possono avere: da quelle sui mari, a quelle sull’atmosfera, sui venti e sulle piogge.

Nonostante questo processo sia naturale, sottolineano gli scienziati, è importante studiare come possa interagire con il surriscaldamento del pianeta causato dalla presenza dell’essere umano. “Una piccola apertura isolata nel ghiaccio dell’Oceano antartico può avere conseguenze significative e su larga scala dal punto di vista climatico,” ha spigato Irina Marinov, che ha preso parte alla ricerca, “I modelli climatici suggeriscono che negli anni e nelle decadi in cui è presente una grande polinia, l’atmosfera si riscalda globalmente, e ci sono cambiamenti nei venti dell’emisfero australe, oltre che uno spostamento nella piogge equatoriali. Tutto questo può essere ricollegato alla polinia”.

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Polinia degli anni 1974-1976. (Credit: University of Pennsylvania)

Solitamente, l’oceano antartico è ricoperto di ghiaccio durante l’inverno dell’emisfero australe. Le polinie si originano quando acqua calda proveniente dal nord dell’Atlantico e dall’equatore si mescola con le acque fredde che si trovano in superficie. Marinov e colleghi hanno utilizzato avanzati modelli che simulano il clima passato e futuro per stabilire gli effetti di questo fenomeno a livello globale. I dati ottenuti hanno mostrato che le polinie si formano circa ogni 75 anni, e funzionano come una specie di valvola per rilasciare il calore dell’oceano. Di conseguenza, il riscaldamento non è limitato alla sola area che circonda la polinia, ma si può osservare un aumento della temperatura dell’atmosfera e della superficie dei mari di tutto l’emisfero australe e, in misura minore, anche dell’emisfero boreale. Questo causa, a sua volta, un cambiamento dei venti, che a loro volta influenzano tempeste, precipitazioni e nuvole. Tra le conseguenze del fenomeno c’è anche lo spostamento della zona di convergenza intertropicale, una fascia che avvolge l’equatore dove i venti solitamente convergono e in cui si verificano intense precipitazioni: quando una polinia è presente sul pianeta, questa fascia si sposta di alcuni gradi per un periodo di tempo che va dai 20 ai 30 anni. “Questo ha conseguenze sulle risorse acquatiche di Indonesia, Sud America e Africa sub-Sahariana,” ha spiegato Marinov, “Si verifica una naturale variazione del clima che, tra le altre cose, può danneggiare la produzione agricola di aree estremamente popolate.”

Date le implicazioni a livello globale, i ricercatori sottolineano l’importanza di una costante monitoraggio della regione, tramite galleggiati in grado di raccogliere dati sulla temperatura, salinità e composizione chimica dell’oceano, e immagini satellitari.

La ricerca solleva inoltre nuove domande, come ad esempio come la diminuzione del ghiaccio presente negli oceani possono influenzare la frequenza delle polinie, e su come la loro presenza o assenza avrà conseguenze sul riscaldamento dell’atmosfera causato dagli esseri umani.

Riferimenti: Journal of Climate

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