Mai sentito parlare di Bpco?

Conosci la sigla “Bpco”? La domanda è stata fatta a 4.250 cittadini europei, in particolare di Italia, Germania, Spagna, Regno Unito e Belgio. Ebbene, ha risposto sì solo un intervistato su tre. E se si guarda solo al nostro paese, si scende a uno su dieci. Andando poi a vedere chi associava la sigla a una malattia respiratoria, la percentuale quasi si dimezza. È un dato inatteso, perché la broncopneumopatia cronica ostruttiva – questo è il significato della sigla – è una delle patologie respiratorie più comuni e gravi. Rispetto alla sua enorme diffusione (sono 348 i milioni di persone colpite su scale globale), la Bpco porta quindi con sé un livello di consapevolezza, da parte dei cittadini, decisamente basso.

L’indagine è stata condotta a luglio da GfK Eurisko e i dati sono stati presentati oggi durante il congresso internazionale della European Respiratory Society (Ers), in corso a Milano. Più informati i tedeschi, gli inglesi e gli spagnoli – tra il 45% e il 41% quelli che hanno affermato di esserne a conoscenza – rispetto ai belgi (20%) e, fanalino di coda, agli italiani (10%). Interessanti poi i dati emersi rispetto alla “percezione” della malattia da parte di chi invece ne ha già sentito parlare, che contrariamente ai dati precedenti rivelano un discreto livello di informazione: ad essere riconosciute sono la gravità della patologia (95%), le sue principali cause ‒ l’80% degli intervistati ha additato al fumo e il 54% all’inquinamento ‒ così come la necessità di controlli periodici (63%).

Dall’analisi, comunque, emerge una sostanziale e diffusa ignoranza in fatto di Bpco, il che ostacola la diagnosi precoce, che permetterebbe di agire in fretta e di rallentare il progredire della malattia. Come riconoscerla, allora? A presentarsi inizialmente sono stanchezza, fiato corto, tosse e alterazioni nella respirazione, che si fanno via via più evidenti. Quando le condizioni peggiorano, la Bpco ostacola anche le più comuni attività quotidiane.

A questo proposito, l’indagine Eurisko ha incluso anche 500 pazienti, mostrando proprio questo aspetto: il forte impatto della malattia sulla qualità della vita – sociale, lavorativa e affettiva – per ben tre persone con Bpco su quattro. Nel 79% dei casi i pazienti hanno difficoltà a fare qualsiasi tipo di attività sportiva; nel 62% non riescono a dedicarsi come vorrebbero al proprio hobby; nella stessa percentuale (62%) non riescono a prendersi cura dei bambini o a giocare con loro; il 56% limita i viaggi, il 53% la vita di coppia, il 47% gli incontri con gli amici.

“È indispensabile che si alzi la guardia su questa malattia”, ha affermato Leonardo M. Fabbri, Professore di Medicina Interna e Respiratoria presso l’Università di Modena e Reggio Emilia. “Ed è fondamentale che le persone sappiano che molto si può fare, soprattutto per evitare le riacutizzazioni, cioè un peggioramento acuto dei sintomi: sono gli eventi più temuti dai pazienti, aumentano il rischio di morte e spesso portano all’ospedalizzazione. In pochi forse sanno che oggi la mortalità di un paziente con Bpco ricoverato per una riacutizzazione è ben del 50% a tre anni dal ricovero”.

Uno dei fattori che aumenta il rischio di riacutizzazioni è la mancata aderenza alle terapie, che è molto comune: un paziente su quattro mostra di non seguire le cure prescritte dal medico, o perché pensa di non averne bisogno, o per dimenticanza, o per le difficoltà nell’utilizzo di più inalatori. Per alleviare i sintomi e rallentare il peggioramento della patologia, infatti, il 42% dei pazienti si ritrova a impiegare due farmaci, mentre il 23% ne assume tre o più.

Ancora: la stragrande maggioranza – 85% – vorrebbe un nuovo farmaco che lo facesse stare meglio, il 77% vorrebbe un farmaco che agisse più in fretta, il 65% vorrebbe usare un solo inalatore, il 60% vorrebbe dover assumere un solo farmaco. Ma dal fronte arrivano anche buone notizie. Lo scorso 24 luglio la Commissione europea ha approvato la prima tripla associazione fissa di due broncodilatatori e di un corticosteroide per via inalatoria con azione antinfiammatoria (LABA/LAMA/ICS), disponibile in un unico inalatore, basandosi su 12 studi di efficacia e sicurezza che hanno coinvolto oltre 7.000 pazienti. I due studi principali sono stati pubblicati su The Lancet. “La possibilità di disporre dei tre farmaci in un solo inalatore potrebbe aiutare i pazienti ad aderire maggiormente alla terapia”, spiega Dave Singh, professore di Farmacologia Clinica e Medicina Respiratoria presso l’Università di Manchester. “Potremo misurare i benefici in molti modi diversi: attraverso l’aumento della funzionalità polmonare, osservando come si sentono i pazienti giorno dopo giorno e attraverso la riduzione delle riacutizzazioni”.

Credi foto: bykst by Pixabay

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