Malaria, le ipotesi sul contagio della bambina morta a Trento

sangue leucemia

Una malattia che consideriamo debellata in Italia, e che torna a colpire. E purtroppo la vittima è una bambina: Sofia Zago, quattro anni, di Trento, stroncata nella notte tra domenica e lunedì da un’infezione di malaria fulminante. Un’infezione autoctona, contratta cioè su suolo italiano, perché le vacanze la bimba le aveva trascorse a Bibione, in Veneto, e non in qualche paese estero in cui è ancora diffusa la malattia. Più di questo, al momento, non si sa. Si continuerà a indagare ovviamente, ma per ora non ci sono certezze sulle modalità di trasmissione della malattia. Perché a ben guardare, prendere la malaria in Italia, oggi, dovrebbe essere quasi impossibile. E quanto avvenuto alla piccola Sofia sembra legata quindi a una tragica, e rarissima, fatalità.

Ripercorrendo la vicenda, tutto ha inizio il 30 agosto, quando la bambina arriva all’ospedale di Trento con una febbre alta. Viene dimessa, ma il 2 settembre è nuovamente al pronto soccorso per gli stessi sintomi.

La situazione a questo punto precipita, e Sofia cade in coma. Insospettiti, i medici testano i campioni di sangue della bambina anche per la malaria e riscontrano la presenza del plasmodium, l’agente eziologico della malaria. A questo punto arrivano le terapie e il trasferimento a Brescia, dove sono presenti sia un reparto di rianimazione pediatrica che un istituto per le malattie tropicali. E dove purtroppo la storia prosegue fino al drammatico epilogo.

Il problema di diagnosi e cure
Si sarebbe potuto fare di più? Difficile a dirsi: la bambina è stata colpita dalla malaria cerebrale, la forma che provoca quasi tutti i decessi.

E in questi casi anche una terapia e una diagnosi tempestive possono non essere sufficienti. “Si tratta della forma più grave di malaria ed è estremamente comune nei bambini al di sotto dei cinque anni, in cui il sistema immunitario immaturo non è in grado di sviluppare immunità al parassita”, spiega Emanuele Nicastri, esperto di malattie tropicali dell’Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani. Parlare del caso specifico, sottolinea l’esperto, al momento è ovviamente impossibile. “Quello che possiamo dire è che in un paese in cui la malaria non è endemica, come l’Italia, è molto difficile sospettare subito il suo coinvolgimento e arrivare così a una diagnosi tempestiva – continua Nicastri – e anche quando si ha una diagnosi è difficilissimo reperire per tempo i farmaci, che nel caso di malaria cerebrale sono ancora più rari perché servono formulazioni per via endovenosa, di cui le più efficaci non sono nemmeno registrate a livello europeo”.

Trattandosi di una malattia piuttosto rara, in particolare con trasmissione autoctona, è insomma comprensibile che i paesi europei non siamo preparati al meglio per affrontarla. “Ma parlando da un punto di vista di sanità pubblica – aggiunge l’esperto – il nuovo caso non può che indicare l’importanza di un sistema di sorveglianza e di approvvigionamento dei farmaci, che permetterebbe di minimizzare il rischio che casi simili, per quanto rari, possano ripetersi anche in futuro”.

Zanzare che viaggiano
Parlando del contagio della piccola Sofia, attualmente tutte le possibilità restano aperte. Nel caso di una trasmissione autoctona, avvenuta in un paese come l’Italia in cui la malaria non è più endemica da decenni, i casi possibili sono sostanzialmente tre. La cosiddetta malaria aeroportuale, ovvero la puntura di una zanzara già infetta arrivata da un paese in cui la malattia è presente, dopo un viaggio all’interno del container di un aereo o dei bagagli di un viaggiatore. “È un’eventualità assai rara, ma non impossibile”, racconta Alessandra della Torre, parassitologa del dipartimento di sanità pubblica e malattie infettive dell’Università la Sapienza di Roma. “Solitamente i casi di questo tipo avvengono o all’interno degli aeroporti o nelle zone immediatamente limitrofe. Ma una zanzara può viaggiare anche in un bagaglio, e una volta a casa può pungere persone che abitano negli appartamenti vicini o persino, aiutata dalle temperature delle scorse settimane, raggiungere palazzi che si trovano a diverse centinaia di metri”.

Il contatto col sangue di una persona infetta
Una seconda possibilità è quella di un contagio diretto. Il plasmodium infatti normalmente non è trasmissibile da uomo a uomo, ma è possibile il contagio ematico, cioè dovuto al contatto con il sangue di una persona infetta. Per quanto si tratti anche in questo caso di un’eventualità assai remota, i contagi attraverso trasfusioni da pazienti infetti sono una possibilità concreta (soprattutto in paesi in cui sono meno controllate di quanto avvenga da noi). E a dirla tutta può bastare anche meno: “Il contagio tra tossicodipendenti, attraverso uno scambio di siringhe, è stato accertato in diverse occasioni”, spiega Massimo Andreoni, docente di Malattie infettive all’Università Tor Vergata di Roma. “E anche a livello nosocomiale il contagio parenterale, cioè derivante dall’utilizzo di strumenti veicolanti sangue, è stato osservato in diverse occasioni. Ovviamente i nostri ospedali hanno protocolli per impedire questo tipo di contagio, ma in via del tutto ipotetica bisogna dire che è comunque possibile”.

La possibilità è dunque estremamente remota. Ma la piccola Sofia nelle settimane precedenti al decesso era stata ricoverata (per un disturbo completamente diverso, il diabete) nella pediatria dell’Ospedale di Trento, in concomitanza con la degenza di due ragazzi che avevano contratto proprio la malaria durante un viaggio in Africa. Non si può dunque escludere al momento che un tragico errore abbia causato il contagio della piccola attraverso strumenti o materiale contaminato dal sangue dei due pazienti. “Le possibilità sono minime – assicura Andreoni – ma sicuramente le autorità sanitarie faranno gli accertamenti necessari. Basta verificare se il parassita che ha infettato i due ragazzi sia identico a quello contratto dalla bambina, per eliminare ogni dubbio”.

Le zanzare contagiose in Italia
Ultima possibilità è infine quella di un contagio avvenuto attraverso il vettore più tradizionale della malattia, una zanzara autoctona che abbia punto in precedenza un malato. Le zanzare Anopheles – quelle che possono trasmettere il plasmodium – in Italia sono sempre state presenti, e anche se fortemente diminuite anche oggi abitano alcune aree della penisola. “Dire come è stato fatto che le Anopheles sono scomparse in Italia è scorretto – chiarisce della Torre – ma sicuramente oggi ce ne sono molte poche, e sopravvivono solo in situazioni ecologiche particolari”. Come spiga l’esperta, le possibilità di contagio aumentano al crescere del numero di insetti presenti, e del numero di pazienti. “Sotto una certa soglia le probabilità sono infinitesimali – assicura della Torre – e il Veneto sembra essere una zona a basso rischio con specie di zanzare poco idonee alla trasmissione della malaria, a differenza di alcune regioni dell’Italia centrale e meridionale. Credo che, escludendo problemi di contaminazione ematica, l’ipotesi più probabile sia l’importazione di una zanzare infetta da un’area endemica”.

Se per ora il contagio della piccola Sofia resta ancora un mistero, quel che è certo è che qualunque sia stata la modalità si sia trattato di una sfortunata, e rarissima, combinazione di eventi.

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