Una nuova terapia genica contro il Parkinson

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(Credits: NICHD/Flickr CC)
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Nuove speranze per il trattamento del morbo del Parkinson. Infatti, questa malattia neuro-degenerativa è stata nel centro del mirino di ben due studi che questa settimana sono stati pubblicati su due importanti riviste scientifiche, Molecular Therapy e Science, che potrebbero essere fondamentali per lo sviluppo di nuove terapie. Attualmente esistono diverse cure per trattare i sintomi del Parkinson, ma mancano ancora trattamenti efficaci nel rallentare la progressione della patologia, attaccando la formazione dei depositi tossici. Lo studio apparso sulla prima rivista è stato condotto dal team di ricercatori dell’Istituto di neuroscienze del Cnr e ospedale San Raffaele di Milano ha testato una nuova terapia genica contro questa malattia.

Più precisamente ha dimostrato la capacità di un nuovo vettore virale di superare la barriera emato-encefalica per diffondersi in tutto il cervello: in questo modo può rilasciare il gene terapeutico e rallentare così l’accumulo dei depositi tossici alla base della malattia.

Come raccontano i ricercatori, l’enzima prodotto dal gene Gba1 è in grado di smaltire questi depositi, ma ha una capacità di azione ridotta nel Parkinson. Ed è qui che la terapia genica entra in gioco: con la sua capacità di fornire geni terapeutici alle cellule, potrebbe offrire alle cellule nervose del malato copie del gene. Quest’ultimo così produrrebbe la giusta quantità di enzima per eliminare i depositi, facendo così regredire la malattia. Per capirlo, il team di ricercatori italiani, guidato da Vania Broccoli, ricercatore presso l’Istituto di neuroscienze del Cnr di Milano e capo dell’unità di ricerca in Cellule staminali e neurogenesi del San Raffaele, ha testato la tecnica su modello sperimentale del Parkinson nel topo, riuscendo a ridurre i depositi tossici, che causano la morte dei neuroni.

Finora, i vettori virali, ovvero i virus che vengono utilizzati per consegnare i geni terapeutici alle cellule, sono incapaci di diffondersi nel sistema nervoso. Invece, il virus utilizzato nello studio (messo a punto un anno dal California Institute of Technology) è però diverso. “La scoperta dell’efficacia di questo nuovo vettore nel superare la barriera emato-encefalica e nel diffondersi in tutto il cervello è fondamentale”, precisa l’autrice dello studio. “Con questo vettore la terapia genica per questi disturbi diventa molto efficace. Lo abbiamo dimostrato nel caso del Parkinson. Seppure si tratti di un risultato limitato al modello sperimentale, è molto promettente”. Il team di ricercatori, infatti, è riuscito a dimostrare che una singola iniezione nel sangue di questo virus ha attivato il gene Gba1 in vaste aree del cervello, prevenendo e rallentando la formazione degli accumuli. “Il nostro prossimo passo – conclude Broccoli – sarà testare ulteriormente sicurezza ed efficacia della terapia in laboratorio prima di arrivare al primo studio sull’uomo”.

Dall’altra parte dell’oceano, il team di ricercatori americani della Northwestern University è riuscito a dimostrare sulle pagine di Science come specifici antiossidanti possano fermare la cascata tossica che porta alla degenerazione dei neuroni tipica del Parkinson. Più precisamente Dimitri Krainc e il suo team di ricercatori si sono serviti dei neuroni di pazienti di Parkinson, individuando una cascata tossica dovuta a una disfunzione mitocondriale e lisosomiale, con un conseguente accumulo di dopamina ossidata e una proteina chiamata alfa-sinucleina. In particolare, l’accumulo di dopamina ossidata ha ridotto l’attività della glucocerebrosidasi lisosomiale (GCase), un enzima implicato nel Parkinson, che a sua volta ha influenzato negativamente la funzione lisosomiale e l’attività dei neuroni.

Inoltre, la dopamina ossidata ha danneggiato i mitocondri dei neuroni aumentando lo stress ossidativo mitocondriale. Questi mitocondri disfunzionali hanno portato ad aumentare i livelli della dopamina ossidata, creando così un circolo vizioso. “I percorsi mitocondriali e lisosomiali sono due percorsi critici nello sviluppo delle malattie”, precisa Krainc. “Una delle strategie chiave che ha funzionato nei nostri esperimenti per fermare questo circolo vizioso è stata quella di trattare i neuroni della dopamina precocemente con antiossidanti specifici che migliorano lo stress ossidativo mitocondriale e abbassano i livelli della dopamina ossidata. Con questo approccio abbiamo scoperto che possiamo attenuare o prevenire gli effetti tossici nei neuroni dei pazienti”. Tuttavia, precisano i ricercatori, la diagnosi precoce di questi pazienti può essere difficile, perché spesso i danni si verificano molto prima che i sintomi siano evidenti.

Via: Wired.it

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