Prostata, quando il cancro può non essere curato

Non trattare con radioterapia e chirurgia tutti i pazienti con cancro alla prostata, ma selezionare quelli in cui la malattia non sembra pericolosa (i medici dicono indolente) e seguirli soltanto con controlli periodici. A dodici anni dall’adesione del primo paziente, arrivano ora i dati del programma Sorveglianza Attiva dell’Istituto Nazionale dei Tumori (Int) di Milano. Che sono decisamente positivi. Ben 818 pazienti con tumore alla prostata a basso rischio sono stati sottoposti a monitoraggio per cinque anni: “Il 50% continua a seguire il programma e, soprattutto, nessun caso di decesso o di sviluppo di metastasi si è verificato nello stesso periodo”, riassume in una frase Riccardo Valdagni, Direttore della Radioterapia Oncologica e del Programma Prostata dell’Int: “Questo significa che la metà dei pazienti arruolati, a 5 anni dalla diagnosi, ha potuto evitare gli effetti indesiderati (quali disfunzione erettile e incontinenza urinaria, ndr.) di un trattamento curativo non necessario e quindi inappropriato”.
Lo studio, presentato ieri e pubblicato su Tumori Journal, edito dalla Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, è nato proprio per questo: “Dalla necessità – spiega Giovanni Apolone, Direttore Scientifico dell’Int – di ridurre l’overtreatment, vale a dire l’eccesso di trattamenti radicali, spesso gravati da importanti effetti collaterali”.

Ma la Sorveglianza Attiva non è una semplice osservazione delle condizioni del paziente. “L’Int è stato a tutti gli effetti il primo Istituto oncologico in Italia a offrire ai propri pazienti la possibilità di entrare in un programma di sorveglianza, che è diventato ormai pratica clinica”, sottolinea Valdagni: “Presuppone però che il paziente sia seguito all’interno di protocolli di riferimento precisi e nell’ambito di un percorso sistematico e definito”. Il programma prevede due controlli clinici all’anno con palpazione della ghiandola prostatica, quattro analisi del PSA e due biopsie prostatiche.

Attivo è anche il ruolo del paziente, in costante dialogo con il team di specialisti per decidere, insieme, il percorso più adeguato. Ci spostiamo così dalla medicina “reattiva”, con i suoi rimedi istantanei per qualsivoglia condizione “anomala”, ad una medicina davvero personalizzata. Per garantire un tale approccio, fondamentale è il carattere multidisciplinare del programma, in cui oncologi, radiologi, chirurghi e psicologi si confrontano. L’obiettivo è scegliere la terapia per e con il malato.

Dalla nascita dell’esame del PSA a oggi, infatti, molte cose sono cambiate. Negli anni ’90, con la diffusione del test, si è registrato un boom nella diagnosi dei tumori alla prostata: si era infatti scoperto il ruolo dell’antigene prostatico specifico: PSA, appunto, un enzima prodotto dalle ghiandole prostatiche che, se presente nel sangue in quantità anomale, indica possibili problemi alla prostata. L’esame del PSA ha quindi permesso di fare diagnosi precoci. Un merito che va riconosciuto. Ma ad emergere, a distanza di anni, sono i suoi limiti: “Quello del PSA non è certamente un test di screening ideale”, afferma Valdagni: “Non considera, infatti, che esiste un ampio spettro di tumori alla prostata con comportamenti diversi, da quelli molto aggressivi a quelli indolenti”. Da qui il valore della Sorveglianza Attiva, che con i risultati finora dimostrati apre la strada a un nuovo tipo di approccio al tumore. Fatto di interventi “mirati e non esasperati” come precisa Enzo Lucchini, Presidente dell’Int.

Si tratta, parlando della Sorveglianza Attiva, di un metodo giovane e perfettibile. Le scommesse future prevedono una maggiore accuratezza delle biopsie prostatiche (attraverso l’impiego di risonanza magnetica) quindi una maggiore partecipazione dell’anatomopatologo all’interno del team di specialisti. L’intenzione è dunque quella di riuscire a eseguire una caratterizzazione biologica per poter predire con più precisione se e per quanto tempo il paziente potrà giovare del programma di monitoraggio. Le conferme arrivate oggi, comunque, sono più che promettenti.

 

Foto: Stevepb via Pixabay

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