Quei giorni bui non sono perduti

libro cecità clandestina
(Foto via Cecità Clandestina/Facebook)

Ho chiuso gli occhi stasera. Ho immaginato il mare, un blu cobalto, il suo rumore, il suo profumo. A lungo. È tutto così bello, trovo pace nell’estetica e nella serenità di ciò che percepisco e che sperimento.
Poi chiudo gli occhi di nuovo, cerco di nuovo il mare e tento di immaginare cosa proverei se non fossi sicura che i muscoli delle mie palpebre, per via di contrazioni involontarie, si volessero riaprire. E se non potessi tornare alla realtà quando desidero? Mi coglie la paura.
Gli occhi di Paola Emilia non accettano regole, tutto comincia così. Per strada o davanti al computer si chiudono, quando vogliono loro; si riaprono miracolosamente in occasioni che piano piano diventano prevedibili, ma non cedono a inganni. Il blefarospasmo non solo è un disturbo poco diffuso ma ha anche qualcosa di veramente singolare e anomalo. Gli occhi sembrano esser parte di un altro corpo, nemico per giunta, ti lasciano all’improvviso al buio.

La storia

Rendendo comune una storia, scrivendola, la doniamo. Si entra in relazione con la propria interiorità e con quella degli altri. Anche questo è cura. Cecità clandestina è dapprima un diario, che non nasconde le angosce e gli odori di cattive notizie. Le difficoltà pratiche. Perfino una giornalista ha difficoltà a parlare, come vorrebbe, con il medico del centro specialistico a cui si rivolge.
Allora la protagonista scrive la sua Storia. Scrive di esami che non vuol fare e non farà perche non cambieranno la diagnosi e la terapia. Scrive che il collirio, o più poeticamente le lacrime artificiali, è indispensabile per non peggiorare la situazione ma non risolve la malattia. Niente la risolve, le palpebre si sollevano solo quando vogliono loro.
Ripeto spesso che ho avuto la fortuna di conoscere molte persone e molte storie, un po’ come se avessi molto molto viaggiato. Però la storia di malattia e di cura di Paola Emilia mi ha coinvolto tanto, tanto. Per me lei era un nome noto, donna particolarmente empatica, che avevo avuto l’onore di conoscere perché mi aveva telefonato mentre stava scrivendo un articolo sulla Medicina Narrativa. Abbiamo lavorato bene insieme.
Fino a che mi arriva un suo regalo: la sua storia di malattia, storia potentissima, che adesso è diventata questo bellissimo libro. La leggo d’un fiato e incontro in quelle pagine le due donne: la preziosa professionista e la lieve e coraggiosa donna che viaggia in un percorso di presa di consapevolezza che “qualcosa davvero non andava”. Non sembra mai “malata”, e non è mai sola.
Dopo il diario viene l’analisi, l’anatomia dell’esperienza: un messaggio per tutti.
La narrazione della Storia e l’incontro con gli altri, comprese le insostituibili e impareggiabili curanti, sembrano aver dato ordine e senso alle esperienze che vanno dal giorno di inizio, a settembre sul Lago Maggiore fino al successivo 4 marzo, quando le immagini riescono a riapparire senza troppo sforzo e il mondo riappare ad occhi nuovi.
La narrazione della Storia e l’incontro con gli altri hanno sostenuto Paola Emilia nell’accogliere gli accadimenti, nel conoscersi e quindi nel cambiamento.

Curarsi con la storia

In medicina l’attenzione è rivolta primariamente alla struttura biologica del corpo. Un riduzionismo che spiega la patologia: che cosa la provoca, come si può contrastarla: cause, diagnosi, cura. Nel caso del blefarospasmo non ci sono spiegazioni. Se si vuol comprendere bisogna ricorrere ad “altro” dalla medicina ufficiale, che non ha molto da dire in proposito. Le cure “altre” e la cura del vissuto della persona acquistano così un valore unico. La malattia che arriva e mette in disordine la vita è un’occasione per la narrazione, per rimettere in ordine, almeno, i fatti, le abilità e le relazioni. Curarsi e narrare abitano la stessa dimora.
Tiziano Terzani in Un altro giro di giostra (Longanesi, 2004), un libro simbolo delle potenzialità del ‘curarsi e narrare’, sottolinea certi limiti della medicina: “L’approccio scientifico, razionale che avevo scelto faceva sì che il mio problema di salute fosse più o meno quello di un’automobile guasta che, assolutamente indifferente alla prospettiva di essere rottamata o riparata, viene affidata a un meccanico, e non il problema di una persona che, coscientemente, con tutta la sua volontà, intende essere riparata e rimessa in marcia”.
I libri di Tiziano Terzani e di Paola Emilia Cicerone sono perle nella Medicina Narrativa, ambito della cura in cui prendono prepotentemente la scena sia la complessa valenza della malattia, sia l’esperienza unica della persona, quindi la sua storia, la percezione di ognuno del proprio stare male.
La Medicina Narrativa trova essenza nel valore di ogni storia e di ogni esperienza di malattia, costruendo su questo, come dice Rita Charon, dei ponti tra curati e curanti. Grazie all’ascolto delle storie tutti possono unirsi nella malattia, riconoscere i propri percorsi personali, dare valore alle relazioni, alle scelte, quindi incontrare la migliore cura.

Giorni (non) perduti

Il blefarospasmo si traduce in giorni bui, energia bloccata, occhiali neri, palpebre indomabili. Eppure in Cecità clandestina non troviamo giorni perduti. Proprio il contrario: leggiamo di giorni di cura, di legami, di amicizia. Le amiche sono state spaventate, costrette ad un ottimismo forzato, ma “onnipresenti e generose”. Trovo che il tema dell’amicizia sia una delle chiavi più toccanti della storia.

Un gioco

Chiudo di nuovo gli occhi, questa volta per ripetere un gioco che ogni tanto faccio e che mi diverte. Cerco un libro nella mia libreria, ad occhi chiusi, sperando di trovarne uno che non ho letto o che ho dimenticato o che mi è piaciuto tanto e quindi vi ho sottolineato dei passi, come se con quel semplice gesto potessi non dimenticarli mai! Stasera spero di trovarne uno che possa farmi pensare a Paola Emilia. Penso che vorrei che me ne capitasse uno al femminile… Gioco troppo difficile, decido di aprire gli occhi e scegliere Cecità clandestina, me ne rileggo un piccolo pezzo: “Mi fermo continuamente per ammirare una foglia, un gioco di luce sul muro. Loro si meravigliano dei miei entusiasmi, io mi stupisco che non si rendano conto di tanta bellezza. Mi commuovo, quasi, di fronte a un giacinto fiorito sul davanzale. Un miracolo di vita che mi regala sorprese ogni mattina. Ma tutto mi sembra bello. Vale la pena di vivere per i giacinti, e per Mozart, dichiaro a Simona dopo un entusiasmante Flauto Magico”. Raccontare e scrivere storie diviene terapeutico, così come leggerle e introdurle.
Buona lettura.

Via: OmniNews

Immagine di copertina: Cecità Clandestina/Facebook

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