Rinoceronti, un metodo da CSI per la lotta al bracconaggio

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§(Foto via Pixabay)

Quando, nel giugno 2010, i giudici del dipartimento di giustizia di Kempton Park, Sudafrica, si sono pronunciati contro Xuan Hoang, condannandolo a 10 anni di prigione per bracconaggio e traffico illegale di corni di rinoceronte, il vietnamita si sarà forse sorpreso scoprendo che ad incastrarlo era stato il DNA degli animali da lui uccisi. Per la prima volta infatti il test del DNA era stato impiegato come prova durante un processo per bracconaggio e si era rivelato fondamentale per arrivare alla sentenza: il DNA estratto dai sette corni trovati in suo possesso era identico a quello delle carcasse di rinoceronte scoperte giorni prima in un’area protetta. Il risultato è stato possibile grazie al lavoro dei ricercatori del Veterinary Genetics Laboratory dell’Università di Pretoria, che nel 2010 hanno avviato il progetto RhODIS (Rhino DNA Index System) per creare un database dei DNA di rinoceronte africano ad uso forense. Nell’articolo appena pubblicato da Current Biology, Cindy Harper, direttrice del progetto, e i suoi collaboratori illustrano il funzionamento di RhODIS e i suoi successi, non solo contro i trafficanti ma anche scientifici.

Il rinoceronte nero e quello bianco sono due specie di rinoceronte Africano considerate a rischio estinzione, principalmente a causa della caccia incontrollata. Malgrado le leggi a tutela delle due specie, i casi di bracconaggio sono aumentati da 13 all’anno nel 2007 a più di 1200 nel 2014. Il database di RhODIS raccoglie oggi quasi 4000 genotipi diversi, 3085 di rinoceronti bianchi e 883 di rinoceronti neri, ed è stato impiegato per collegare i materiali confiscati ai bracconieri alle carcasse ritrovate all’interno di parchi e riserve in più di 120 casi, molti dei quali si sono conclusi con una condanna per i bracconieri.

L’identificazione degli individui a partire dal DNA sui corni si basa sull’analisi delle Short Tandem Repeats (STR), ovvero delle sequenze ripetute di DNA non codificante, costituite da piccole unità di pochi nucleotidi, che permettono di identificare la posizione (locus) dei geni su un cromosoma. Il metodo è lo stesso adottato dal CODIS (Combined DNA Index System), il database usato dall’americana FBI a supporto delle indagini per crimini violenti o su persone scomparse. Basandosi su un’analisi statistica condotta sui 3968 genotipi di RhODIS, i ricercatori hanno stabilito che l’analisi di 23 STR loci permette di assegnare univocamente il DNA estratto da corni, tessuti o tracce di sangue a quello delle carcasse. Fornendo prove inoppugnabili contro i trafficanti.

Il progetto ha anche una valenza scientifica: il numero consistente di genotipi raccolti ha permesso di ottenere conferme sull’origine geografica dei rinoceronti africani e sulla divisione in specie. In particolare, tutti gli individui di rinoceronte bianco appartengono ad una singola sottospecie, Ceratotherium simum simum, mentre nel rinoceronte nero, Diceros bicornis, si distinguono tre sottospecie: D. b. bicornis, D. b. michaeli e D b. minor. Inoltre, sono state riscontrate sottili differenze genetiche tra gli esemplari di D. b. minor dello Zimbabwe e quelli della provincia di KwaZulu-Natal, in Sudafrica; i rinoceronti neri nel Kruger National Park hanno invece tratti comuni ad entrambi, segno che queste popolazioni derivano da individui originari delle due diverse regioni.

Il successo del progetto RhODIS è dovuto anche alla stretta collaborazione tra i ricercatori dell’Università di Pretoria e gli agenti di polizia e i guardaparco che hanno contribuito a raccogliere i campioni e alla disponibilità di governi e istituzioni per la salvaguardia degli animali. La speranza è che questo nuovo strumento serva non solo ad assicurare più bracconieri alla giustizia ma anche come deterrente contro nuovi crimini.

Riferimenti: Current Biology

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