Il buco si sta chiudendo, ma altrove lo strato di ozono continua ad assottigliarsi

Negli ultimi anni si è osservata nelle regioni polari una rassicurante riduzione del buco dell’ozono, ma a latitudini inferiori e in corrispondenza delle aree più popolate del pianeta, lo strato di ozono continua ad assottigliarsi. La notizia preoccupante arriva da un nuovo studio internazionale pubblicato sulla rivista Atmospheric Chemistry and Physics. Il lavoro, guidato da ricercatori del Politecnico Federale di Zurigo (EHT) e dell’Osservatorio fisico-meteorologico di Davos in Svizzera, vede la collaborazione di ricercatori di Regno Unito, Stati Uniti, Svezia, Canada, Finlandia ed include anche dati di missioni satellitari della Nasa.

Dopo la scoperta negli anni settanta che i clorofluorocarburi (Cfc), ampiamente utilizzati all’epoca nei sistemi di refrigerazione e nelle bombolette spray, erano i principali responsabili dell’assottigliamento dello strato di ozono, nel 1987 venne firmato il protocollo di Montreal che ne imponeva la progressiva riduzione fino alla totale eliminazione. Finalmente negli ultimi anni l’applicazione del protocollo ha cominciato a dare i primi frutti. Recentemente si sono avuti i primi segni di risanamento del buco dell’ozono sopra l’Antartide; e il mese scorso la Nasa, grazie alle misure del satellite Aura, ha confermato che il buco si è ridimensionato del 20% rispetto al 2005.

Purtroppo la situazione non sembrerebbe così rassicurante alle medie e basse latitudini del nostro pianeta. Nel nuovo studio, i ricercatori hanno valutato la variazione dei livelli di ozono nella troposfera e nella stratosfera e dell’ozono totale dal 1998 in poi in zone del pianeta comprese tra i 60 gradi di latitudine Sud e i 60 gradi di latitudine Nord. Grazie alla collaborazione di vari gruppi di ricerca a livello internazionale, è stato possibile ottenere una lunga e robusta serie storica di misurazioni satellitari della concentrazione dell’ozono atmosferico.

Lo sviluppo e l’applicazione di metodi statistici avanzati a questi dati ha portato ad un risultato inaspettato, non previsto dai modelli matematici attualmente usati. Al contrario di quanto atteso – affermano i ricercatori – si sta assistendo dal 1998 ad oggi ad una diminuzione continua dei livelli di ozono in un’area molto estesa del pianeta. La diminuzione dei livelli di ozono è stata osservata nella parte più bassa della stratosfera (in media tra 15 e 24 km di altitudine). La parte più alta della stratosfera (tra 32 e 48 km di altitudine) sta invece mostrando segni di recupero, a dimostrazione del fatto che la messa al bando dei Cfc sta dando risultati positivi in questa zona dell’atmosfera.

“Grazie al protocollo di Montreal, l’ozono nella stratosfera più alta è aumentato significativamente dal 1998, e la stratosfera mostra segni di recupero sulle regioni polari” ha commentato William Ball, primo autore dello studio. Nonostante la diminuzione nella bassa stratosfera, l’ozono atmosferico totale, dato dalla somma dell’ozono stratosferico e di quello troposferico, non ha subito variazioni significative a partire dal 1998. Questo può essere dovuto, oltre che al lento recupero della stratosfera più alta, al fatto che l’ozono è prodotto nella troposfera come gas inquinante a causa delle attività umane (ed è responsabile del ben noto smog fotochimico, particolarmente evidente in assolate giornate estive). E questo “ozono antropogenico” – ipotizzano gli autori dello studio- potrebbe aver mascherato parzialmente la diminuzione dell’ozono nella stratosfera più bassa nelle misure satellitari.

Restano ancora da chiarire le cause della diminuzione di ozono nella bassa stratosfera. Gli autori suggeriscono due possibili spiegazioni dei fenomeni osservati. Una possibile causa va ricercata nel riscaldamento climatico che sta modificando il modello di circolazione atmosferica, determinando un maggiore spostamento di ozono dai tropici, dove viene prodotto, verso le alte latitudini e i poli. Se il cambiamento della circolazione atmosferica può spiegare la diminuzione di ozono alle latitudini tropicali, probabilmente alle medie latitudini la causa principale è da attribuire al pericoloso aumento di alcune sostanze a vita molto breve, note come Vsls (very short-lived substances), contenenti cloro e bromo.

Tali sostanze, in gran parte di origine industriale, includono solventi, agenti svernicianti e sgrassanti ed alcune sostanze utilizzate in sostituzione dei clorofluorocarburi (in quanto ritenute meno dannose per l’ozono). Si è ritenuto a lungo che le Vsls non potessero persistere senza degradarsi per un tempo sufficientemente lungo per raggiungere la stratosfera inferiore. Molto probabilmente le cose non stanno così e, anche a causa di temporali sempre più intensi, tali sostanze potrebbero raggiungere la bassa stratosfera e danneggiare l’ozono. “Sulla base degli attuali modelli di circolazione atmosferica non è possibile prevedere la diminuzione di ozono nella bassa stratosfera. Le Vsls potrebbero essere il fattore mancante nei modelli usati”, ha ipotizzato Ball. A questo punto potrebbero essere necessarie ulteriori ricerche per valutare la presenza di tali sostanze nella stratosfera ed il loro potenziale impatto sull’ozonosfera.

Ora è fondamentale cercare di valutare le possibili conseguenze per la salute umana e gli ecosistemi terrestri. Secondo Thomas Peter, coautore dello studio, i risultati sono preoccupanti ma non allarmanti. “Il declino ora osservato è meno pronunciato di quello osservato ai poli prima dell’entrata in vigore del protocollo di Montreal. L’impatto positivo del protocollo è indiscusso, come evidenziato dall’inversione di tendenza nella stratosfera superiore e ai poli. Ora occorre tener d’occhio lo strato di ozono alle medie latitudini e ai tropici, zone densamente popolate e dove le radiazioni UV sono più intense”, commenta Peter.

Riferimenti: Atmospheric Chemistry and Physics

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