Olimpiadi invernali di Pyeongchang, la fisica dello sport

Pyeongchang
(Credits: Pixabay)
Pyeongchang
(Credits: Pixabay)

Li abbiamo appena salutati come uno dei più grandi show mai prodotti dal genere umano. Uno spettacolo sportivo, mediatico e commerciale senza precedenti. Ma nelle Olimpiadi invernali di Pyeongchang c’è anche molto altro. La fisica, per esempio. Dai salti degli snowboarder al momento angolare dei pattinatori, passando per l’attrito delle pietre da curling, gli spunti non mancano di certo. E ce n’è tanti da riempire un manuale di meccanica e termodinamica. Abbiamo provato – senza alcuna pretesa di completezza – a mettere insieme i più interessanti e costruire un piccolo bignami della fisica degli sport invernali: ecco, disciplina per disciplina, le considerazioni più interessanti.

Snowboard

Salti, acrobazie e figure – e una rampa alta 49 metri – rendono lo snowboard una delle discipline più attese e spettacolari di questi Giochi olimpici. Anche e soprattutto dal punto di vista della fisica. Come ha appena sottolineato Scientific American, “per eccellere in questa competizione, gli atleti dovranno controllare nervi e adrenalina e padroneggiare intuitivamente i concetti di momento angolare, conservazione dell’energia e moto parabolico”. Cerchiamo anzitutto di familiarizzare con questi concetti (torneranno utili anche nella discussione degli altri sport). Il momento angolare è una grandezza fisica tipica dei corpi in rotazione (come per l’appunto uno snowboarder in caduta) definita matematicamente come il prodotto vettoriale tra la quantità di moto (che a sua volta è il prodotto tra massa e velocità) e il raggio della rotazione del corpo stesso. Più rozzamente, la grandezza rappresenta il prodotto tra quanto è “esteso” un corpo che ruota e la sua velocità di rotazione. La cosa si fa più interessante se si considera che si tratta di una quantità conservata (a meno dell’attrito dell’aria) durante il moto: questo implica che se il corpo è più esteso, ossia, per esempio, se lo snowboarder allarga le braccia, la sua velocità di rotazione diminuisce. E viceversa. Padroneggiando questo concetto, gli atleti possono aumentare o diminuire la velocità delle acrobazie modificando l’assetto del proprio corpo.

Ma si può fare di meglio: “Pensiamo a un gatto che cade da una certa altezza”, spiega Maruša Bradač, fisica alla University of California, Davis. “In caduta, l’animale tende a raggruppare le zampe anteriori e a estendere quelle posteriori nella direzione opposta, in modo che la parte anteriore del suo corpo ruoti più velocemente di quella posteriore. In questo modo, il gatto riesce a eseguire una torsione e atterrare sulle zampe posteriori”. Gli snowboarder, naturalmente, non possono contare sull’estensione delle gambe – che sono attaccate alla tavola – ma possono variare asimmetricamente la posizione delle braccia per imprimere, proprio come il nostro gatto in caduta libera, una torsione al corpo nella direzione che desiderano.

Un altro aspetto cruciale riguarda l’atterraggio, il momento in cui statisticamente si registra la maggior parte di incidenti e infortuni. Facile da immaginare, dato che dopotutto si tratta dell’impatto con il suolo dopo quasi cinquanta metri di caduta. Ma anche in questo caso sono le leggi della fisica a salvare le ginocchia degli atleti: il bravo snowboarder atterra con un angolo ripido verso il basso, in modo tale che parte della sua energia potenziale (che ha acquistato prendendo quota durante il moto) si trasformi in energia cinetica (ovvero in velocità in avanti dopo aver toccato il suolo) anziché scaricarsi sulle sue gambe.

Sci

Passando allo sci, una delle questioni più interessanti e dibattute dal punto di vista della fisica riguarda il rapporto tra velocità di discesa e peso di uno sciatore. In particolare, ci si chiede se sia vero che uno sciatore più pesante si muova più velocemente (a parità di tutte le altre condizioni, naturalmente) rispetto a uno più leggero. In generale, come spiegato in questo saggio a cura degli esperti del dipartimento di matematica della University of Utah, la risposta è sì, ma dipende da quanto velocemente si sta scendendo. Su uno sciatore in discesa, in particolare, agiscono tre forze: la gravità, che lo spinge verso il basso (e dunque lo accelera) e le forze di attrito tra gli sci e la neve e tra il suo corpo e l’aria, che tendono a frenarlo.

Sciatore
Via University of Utah

Bilanciando queste forze si arriva a scrivere l’equazione del moto dello sciatore, ossia un’equazione che lega tra loro accelerazione e caratteristiche del corpo in caduta (tra cui, per esempio, la massa, il coefficiente di attrito con l’aria, il coefficiente di attrito con la neve). In tale equazione la massa compare al denominatore di un termine che ha segno opposto rispetto a quello che contiene la gravità, il che implica, per l’appunto, che al crescere della massa aumenti l’accelerazione. Cioè che uno sciatore più pesante vada giù più velocemente. È da rimarcare, tuttavia, che questa analisi semplificata non tiene conto di altri aspetti che, a seconda delle conformazioni della pista, possono diventare cruciali, primo fra tutti il fatto che uno sciatore più pesante avrà più difficoltà nei cambi di direzione, e quindi potrebbe perdere il guadagno di velocità acquisito nella fase di discesa rettilinea.

Pattinaggio su ghiaccio

Perché pattinare sul ghiaccio è così diverso rispetto, per esempio, a correre o camminare? Tutta colpa, o merito, del bassissimo attrito tra lame dei pattini e ghiaccio, che se da una parte consente ai pattinatori di acquistare facilmente velocità, dall’altra richiede loro uno sforzo costante per mantenere la posizione e l’equilibrio. Dal momento che l’attrito è quasi nullo, il pattinatore, per procedere in avanti, deve spingere il ghiaccio in direzione non parallela a quella delle lame dei pattini: in particolare, al variare dell’angolo tra le lame dei pattini e la direzione del moto, è possibile variare velocità e direzione del moto stesso. Un altro modo di procedere (più lentamente) è invece quello a S, in cui le lame non si sollevano mai da terra.

Pattinaggio
Via real-world-physics-problem

Per le figure – e in particolare per la rotazione – valgono le stesse considerazioni fatte per lo snowboard. In virtù della conservazione del momento angolare, il pattinatore, per accelerare la propria velocità di rotazione, deve portare le braccia aderenti al corpo, diminuendo così la sua estensione. E viceversa: per rallentare, gli basterà estendere le braccia. Facile, a parole.

Curling

Curling, ovvero l’arte di far scivolare sul ghiaccio delle pietre di granito regolandone il movimento con un frenetico lavoro di scope. Una disciplina in cui, come vi avevamo raccontato, si gioca tutto sull’attrito, ossia sullo sfregamento tra pietra e ghiaccio e tra scopa e ghiaccio. Va ricordato anzitutto che i campi per il curling non sono completamente lisci, ma presentano dei piccoli granelli, creati spruzzando dell’acqua sulla superficie, acqua che poi congela. Inoltre, la pietra del curling non è piatta inferiormente, ma presenta una piccola rientranza, il che crea una sorta di sacca d’aria e limita il contatto con la pista. Detto ciò, come fa la pietra a procedere in avanti mentre ruota su sé stessa? Un’idea è che vi sia un accumulo asimmetrico della frizione: maggiore dietro (rispetto alla direzione del movimento) che davanti. Scrivono infatti dalla University of Utah: “Se, per esempio, una pietra viene spinta in avanti con una leggera torsione in senso orario, i corpi estranei presenti sul ghiaccio saranno spinti verso il lato destro della pietra. Anche ogni strato di liquido che si forma dalla pressione e dall’attrito spinge l’acqua sul lato destro della pietra, riunendola leggermente su un lato. Ciò significa che sul lato destro e anteriore della pietra c’è più lubrificazione prodotta dal ghiaccio sciolto, così la pietra nel suo complesso sperimenta un coefficiente di attrito asimmetrico”.

Un’altra spiegazione sul movimento del curling arriva dalla Uppsala University. Alcuni ricercatori hanno ipotizzato che il percorso della pietra sarebbe dovuto alle microscopiche rugosità presenti sulla sua superficie, che a sua volta producono graffi microscopici sul ghiaccio. Il curl (roteare) della pietra si autoalimenterebbe perché che al suo avanzare le altre rugosità presenti su di essa tenderebbero a seguire i microscopici graffi prodotti prima dalle rugosità localizzate nella parte anteriore. Ovviamente anche il lavoro delle scope contribuisce al movimento. L’attività delle scope è infatti quella di aumentare la temperatura del ghiaccio in modo che il coefficiente di attrito diminuisca. In modi diversi: o spazzando più tenacemente (per produrre subito più calore) o più velocemente, così che le porzioni toccate dalla scopa si soprappongano, e ottenere un maggior riscaldamento in questo modo (dal momento che più ci si avvicina alla temperatura di fusione del ghiaccio, più diminuisce l’energia necessaria a scioglierlo).

Via: Wired.it

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here