Sopravvivere a Ebola, 40 anni dopo

virus ebola

Di Veronica Rossolini

Qualcuno ce la fa. Per motivi legati alle caratteristiche del proprio sistema immunitario, qualcuno riesce a sopravvivere a Ebola, uno dei virus più aggressivi che si conoscano. Ed è proprio da queste persone che possiamo imparare, dice ora uno studio condotto dalla University of California di Los Angeles (UCLA) e pubblicato su Infectious diseases, a sconfiggere il virus.

Lo studio, raccontato anche sulla pagine di Nature News, ha preso in esame i sopravvissuti all’epidemia di ebola che ha coinvolto i paesi della Repubblica democratica del Congo nel 1976. Secondo i ricercatori, qualcuno di loro è riuscito a sviluppare caratteristiche immunitarie tali da sopravvivere a Ebola per altri 40 anni. “Fino allo scorso anno nessuno sapeva se queste persone fossero ancora vive” ha commentato Anne Rimoin, epidemiologa dell’università californiana che ha condotto lo studio. Questa è la prima ricerca che indaga sui meccanismi del sistema immunitario dei sopravvissuti a distanza di così tanti anni. “Fino ad oggi – spiega infatti Rimoin – i lavori si erano focalizzati sulla durata dell’immunità fino a undici anni dalla contrazione del virus”.

A muovere le ricerche di Rimoin e il suo team è stato lo studio dell’infezione di una particolare tipologia di virus, lo Zaire Ebolavirus (EBOV), che ha colpito la cittadina di Yambuku della Repubblica Congo nel 1976. Lo stesso tipo di virus che poi ha colpito in tempi più recenti, con l’epidemia che ha interessato l’Africa Occidentale tra il 2014 e il 2016.  Ebola Zaire, infatti, è tutt’oggi uno dei più virulenti agenti patogeni, causa di febbre emorragica che si diffonde attraverso il contatto diretto con organi, sangue e fluidi corporei di soggetti infetti. I ricercatori, con l’aiuto dei medici che all’epoca seguivano da vicino gli sviluppi dell’epidemia, hanno lavorato per cercare sopravvissuti nei paesi limitrofi, selezionandone quattordici: sei casi conclamati e otto con sospetta infezione. Ai partecipanti è stato chiesto di compilare un questionario con dati i demografici, la storia sanitaria personale e la condizione di salute attuale, e di riportare l’eventuale esposizione a esseri umani o animali infetti.

Dalle risposte è emerso che durante il focolaio, tra agosto e novembre, coloro che erano riusciti a sopravvivere a Ebola dal’76 hanno segnalato la manifestazione di uno o più sintomi del virus: febbre e sanguinamento inspiegabile, mal di testa, mialgia, eruzione cutanea, vomito, dissenteria, singhiozzo, difficoltà respiratorie e di deglutizione. I ricercatori hanno condotto il lavoro analizzando i profili immunitari estratti dai campioni biologici, all’interno del laboratorio mobile allestito per la ricerca nel villaggio di Yambuku. Qui il gruppo di studio si è servito del test ELISA – metodo biochimico che rileva la presenza degli anticorpi nel plasma – per misurare la risposta immunitaria dei sopravvissuti e valutare la reattività della matrice virale di Ebola, una proteina chiamata “VP40”. Dalle analisi è emerso che quattro dei quattordici sopravvissuti dall’epidemia hanno conservato nel tempo gli anticorpi, e questo è stato possibile perché l’organismo ha riconosciuto ebola, lo ha già incontrato in passato e lo ha debellato. Ciò significa che queste persone hanno sviluppato un meccanismo di resistenza al virus che ancora oggi è in grado di neutralizzare lo Zaire, 40 anni dopo l’infezione.

Questo è il tipo di immunità che i ricercatori vogliono riprodurre per creare nuove strategie di prevenzione attraverso la realizzazione di vaccini, disponibili oggi solo ad uso sperimentale contro ceppi specifici di virus. Ne è la prova lo studio pubblicato sulla rivista The Lancet nel luglio 2015, che per la prima volta vede l’efficacia del vaccino per lo Zaire virus con una protezione totale nella specie umana. Il gruppo guidato da Rimoin intende continuare le ricerche sulle persone ancora vive della cittadina del Congo, per meglio comprendere come dopo tanto tempo questi individui abbiano ancora una reattività contro l’infezione, e osservare i risvolti sulla salute nel lungo termine.

Riferimenti: Infectious diseases

Articolo prodotto in collaborazione con il Master SGP di Sapienza Università di Roma

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