Ecco a voi i “veri” ologrammi

(Foto: Brigham Young Univesity)

di Lorenzo Tenuzzo

Da Star Wars ad Iron man, passando per il recente Blade Runner 2049, il cinema ci ha abituato ad immaginare un futuro in cui gli ologrammi – intesi come immagini tridimensionali fluttuanti – sono una tecnologia diffusa e relativamente comune. Una recente ricerca pubblicata su Nature avvicina la realtà ai film di fantascienza, presentando una tecnica per creare immagini volumetriche sospese nell’aria, sfruttando una serie di raggi laser. Disegni tridimensionali fluttuanti dunque, ma – avvertono gli autori della ricerca – meglio non chiamarli ologrammi.

Il gruppo coordinato da Daniel Smalley, della Brigham Young Univesity (Utah) le chiama infatti immagini volumetriche sospese. La tecnica ideata dai ricercatori sfrutta una serie di fasci laser invisibili che intrappolano una minuscola particella di cellulosa – una fibra vegetale – e permettono di muoverla in aria secondo figure prestabilite. Un secondo set di laser – rosso, verde e blu – illumina la particella, la quale diffonde la luce e permette di ottenere immagini colorate. In pratica la particella è, istante per istante, sia guidata nello spazio che colorata da due diversi set di laser. Se la particella viene mossa abbastanza rapidamente, l’occhio umano – che non distingue più di 10 immagini al secondo – percepisce la traiettoria come una forma unica. Il risultato è una scultura fluttuante ottenuta con un pennello laser. Inoltre se la figura cambia abbastanza rapidamente, questa sembra muoversi. La cosa che rende queste immagini volumetriche così simili agli ologrammi dei film di fantascienza è il fatto che possono essere viste da ogni direzione, proprio come degli oggetti solidi.

Oggi le tecniche olografiche si basano sull’uso di reticoli di diffrazione: la luce illumina un oggetto da diverse angolazioni e poi viene fatta convergere su uno schermo che contiene il reticolo. Si potrebbe dire che le fotografie, che riprendono lo stesso oggetto da direzioni differenti, vengono sovrapposte fino a creare un’immagine unica che restituisce l’illusione della profondità. Tuttavia quando guardiamo un ologramma stiamo comunque osservando una superficie bidimensionale: pertanto l’immagine sarà visibile solo da angolazioni limitate. Inoltre gli ologrammi di solito sono statici perché cambiare velocemente il reticolo di diffrazione è complicato.

Le immagini volumetriche invece ricreano un oggetto nello spazio tridimensionale e si possono vedere ad occhio nudo, senza alcun bisogno di visori o lenti speciali. William Wilson, ricercatore in nanotecnologie ad Harvard, ha spiegato che questo sistema necessita di ulteriori sviluppi, ma è un’idea semplice e dal grande potenziale. Le immagini ottenute finora sono forme elementari grandi pochi millimetri: infatti la velocità necessaria per muovere la particella aumenta con forme più grandi e complicate. Ciononostante, il sistema può già creare immagini ad una risoluzione superiore rispetto a quella di uno schermo di computer, fino a 1600 Dpi (dots per inch). Per generare figure più grandi, mobili e complesse, in futuro sarà necessario aumentare la velocità di movimento della particella, possibilmente controllandone più d’una alla volta. A questo proposito Smalley si dichiara ottimista: “se nei prossimi quattro anni faremo tanti progressi come ne abbiamo fatti nell’ultimo, penso che saremo presto in grado di creare immagini di dimensioni utili”.

Riferimenti: Nature

Articolo prodotto in collaborazione con il Master SGP di Sapienza Università di Roma

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