Fake news, ecco perché le notizie false vengono condivise più di quelle vere

via Pixabay

In molti, un po’ ingenuamente, siamo portati a pensare che il linguaggio sia espressione della realtà. Eppure, secondo una tradizione strutturalista che da Umberto Eco passa per gli studi culturali di Stuart Hall (solo per fare due nomi), è il linguaggio stesso a creare la realtà. Ciò implica che se il linguaggio è usato per mentire, allora le conseguenze di quella menzogna finiranno con il creare una realtà diversa e l’eventuale rivelazione della successiva verità (post-verità) non avrà quasi più nessuna rilevanza.

Sebbene la menzogna sia nata nel momento stesso in cui è nato il linguaggio, l’era dei social media (e della rapida condivisione dei contenuti) ha portato a un boom nella diffusione delle cosiddette bufale. Sì, perché a diffondersi in misura maggiore sono proprio le notizie false o fake news che si propagano più velocemente coinvolgendo un ampio numero di persone e seguendo una tendenza che fino a ora era stata poco approfondita.

Adesso un’analisi, condotta dal Massachusetts Institute of Technology (Mit) di Boston da Soroush Vosoughi, insieme ad alcuni colleghi, e pubblicata sulla rivista Science, ha cercato di far luce sulla questione analizzando la diffusione di notizie che si sono propagate via Twitter tra il 2006 e i 2017.

I ricercatori hanno analizzato circa 126.000 notizie twittate da 3 milioni di persone 4.5 milioni di volte, e classificate preventivamente come vere o false da sei società di controllo. A interessare particolarmente il team è stata la probabilità che un tweet ha di generare una cascata di retweet (condivisioni).

Il risultato ottenuto rivela che le informazioni false si spargono più rapidamente, largamente e profondamente di quelle vere: in generale le menzogne hanno avuto il 70% di probabilità in più di essere condivise rispetto alle notizie vere e, mentre queste ultime raramente si diffondevano fra a un pubblico superiore a 1000 persone, mentre l’1% delle notizie false si diffondeva di consueto a un pubblico compreso tra 1000 e 100.000 persone. Tra le categorie di notizie analizzate dal team figurano: terrorismo e guerre, leggende urbane, intrattenimento, scienza e tecnologia, tuttavia quella che si è dimostrata più virale è stata la categoria relativa alla politica che risultava diffondersi con un tasso 3 volte superiore rispetto a tutte le altre categorie di fake news.

Gli studiosi hanno riscontrato che le informazioni false risultavano più insolite rispetto a quelle vere, cosa che ha portato a pensare che la gente sia più incline a condividere notizie inaspettate che attraggono l’attenzione. Inoltre, mentre le news insolite ispiravano sentimenti di paura, disgusto e sorpresa, le news vere conducevano a sensazioni di anticipazione, tristezza, gioia e fiducia.

Infine, i ricercatori hanno provato a eliminare, grazie a un algoritmo, l’azione dei software automatizzati (bot) che gestiscono autonomamente la diffusione delle notizie, riscontrando che questi programmi divulgano notizie vere tanto quanto quelle false. E ciò implica che il maggior responsabile della diffusione delle bufale è proprio l’essere umano, contrariamente a quanto si possa pensare.

In un altro articolo pubblicato sempre su Science, David Lazer – docente di scienze politiche, computer e scienze informatiche alla Northeastern University di Boston – e colleghi sostengono che la gente tende a non interrogarsi sulla credibilità di un’informazione a meno che non sia spinta a farlo. Così, per contrastare la diffusione e l’influenza delle fake news gli autori dell’articolo si augurano due categorie di interventi: alcuni indirizzati a migliorare le capacità degli individui di identificare le informazioni false, e altri che riguardano cambiamenti strutturali mirati a bloccare le menzogne sul nascere.

La domanda da porsi, quindi, è perché siamo così inclini a condividere notizie senza preoccuparci della loro veridicità. “La rete amplifica le potenzialità di menzogna che sono proprie del linguaggio”, racconta a Galileo Daniele Maria Pegorari, docente di Letteratura italiana e Sociologia della letteratura presso l’Ateneo di Bari, “e quel peculiare regime di socialità che ha instaurato, fondato su un’esposizione permanente alla comunicazione, ha fatto piazza pulita del principio di ‘autorità’ nella sua accezione gnoseologica”. “La comunicazione ‘liquida’ della rete tende a farci dimenticare che sono necessarie delle gerarchie fra le fonti – continua Pegorari – e, illudendoci di essere davvero informati, ci disabitua alla verifica empirica”.

Riferimenti: Science

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