Perché l’Aifa ha dato il via libera ai farmaci biosimilari

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È una decisione definita storica. Perché apre, potenzialmente, una nuova era nel campo delle cosiddette terapie biologiche, l’insieme di farmaci di nuova generazione (generalmente piuttosto costosi) prodotti a partire da organismi viventi e attualmente utilizzati per trattare diverse malattie, dal diabete di tipo 1 a diverse patologie autoimmuni fino ad alcune forme di tumore. Questa la novità: in un position paper pubblicato il 27 marzo scorso, l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha ufficialmente avallato l’interscambiabilità terapeutica tra i cosiddetti originator, cioè i farmaci biologici originali, e i biosimilari, ossia le loro versioni equivalenti messe in commercio man mano che i primi perdono il brevetto. Interscambiabilità che finora era proibita, dal momento che la legge di stabilità del 2016 diceva molto chiaramente che “non è consentita la sostituibilità automatica tra farmaco biologico di riferimento e suo biosimilare, né tra biosimilare e biosimilare”.

La presa di posizione di Aifa segna non uno, ma due importanti passi in avanti: da oggi sarà possibile trattare con i biosimilari non solo i pazienti che devono iniziare la terapia, ma anche quelli già in cura con un originator. “Il rapporto rischio beneficio dei biosimilari”, si legge nel paper, “è il medesimo di quello degli originator di riferimento.

Per tale motivo, l’Aifa considera i biosimilari come prodotti intercambiabili con i corrispondenti originator di riferimento. Tale considerazione vale tanto per i pazienti naive quanto per i pazienti già in cura”. Una presa di posizione che consentirà, secondo le stime, di trattare molti più pazienti (secondo una ricerca di Italia Biosimilar Group sono 200mila le persone che nel nostro paese non hanno accesso alle cure biologiche) e, contemporaneamente, di risparmiare circa 2 miliardi di euro in cinque anni.

Originator e biosimilari: affinità e differenze
Per comprendere meglio il razionale dietro la decisione di Aifa, è bene partire dalla definizione di medicinale biologico fornita dalla European medicines agency (Ema), l’ente regolatorio europeo del farmaco: “Un medicinale biologico”, dice l’Ema nella direttiva 837505 del 2011, “è quello che contiene una o più sostanze attive derivate da una fonte biologica o ottenuti attraverso un processo biologico, e che necessita di una rigorosa standardizzazione delle fasi di produzione e di controlli chimico-fisici e biologici integrati; alcune di queste sostanze possono essere già presenti nell’organismo umano, ad esempio proteine come l’insulina, l’ormone della crescita e l’eritropoietina. I medicinali biologici sono molecole più grandi e più complesse rispetto ai medicinali non biologici. Soltanto gli organismi viventi sono in grado di riprodurre tale complessità”.

È proprio questo concetto di complessità a giocare un ruolo cruciale nella questione delle differenze tra originator e biosimilari, come ci ha spiegato Luca Pasina, responsabile dell’Unità di farmacoterapia e appropriatezza prescrittiva all’Irccs Mario Negri di Milano: “Tutti i medicinali biologici, inclusi i biosimilari, sono prodotti da organismi viventi, e ciò determina un certo grado variabilità nel prodotto finale, ovvero nelle molecole di uno stesso principio attivo”. In sostanza, vuol dire che non esistono due farmaci biologici esattamente uguali tra loro, proprio in virtù del fatto che la loro natura è biologica: anche due medicinali originator dello stesso lotto differiscono l’uno dall’altro.

Ma tale differenza, secondo tutte le evidenze a oggi disponibili, non influenza in alcun modo l’efficacia del farmaco. “Questa variabilità intrinseca”, continua Pasina, “detta microeterogenicità, è presente per qualunque farmaco biologico: ogni farmaco biologico, che sia biosimilare o originator, non è infatti mai identico a se stesso nel corso del proprio ciclo di vita. Un farmaco biosimilare, per essere autorizzato dalle agenzie regolatorie, deve presentare rispetto al suo originator variabilità simile a quella presente tra lotti diversi del suo originator”. Il concetto dunque è: i biosimilari approvati sono diversi dagli originator, ma non più di quanto gli originator stessi non siano diversi tra loro. E tale diversità non ha alcuna conseguenza su “qualità, efficacia e sicurezza” della molecola.

Per cosa sono usati
La lista delle applicazioni terapeutiche dei farmaci biologici (originator e loro biosimilari) è ampia, e in costante aggiornamento: “Attualmente”, dice Pasina, “i biosimilari sono impiegati per curare il diabete di tipo 1 (insulina); nei disturbi di accrescimento dovuto a carenza dell’ormone della crescita (somatropina); in alcune forme di anemia, come quella associata all’insufficienza renale cronica (epoetine); in malattie autoimmuni come psoriasi, artrite reumatoide, spondilite anchilosante, morbo di Crohn; in alcune forme di tumore”. Sono allo studio, tra l’altro, possibili applicazioni per il trattamento delle vasculiti. Tra gli effetti collaterali, invece, i più frequenti sono l’insorgenza di infezioni dovuta alla riduzione delle risposte immunitarie (nella maggior parte dei casi si tratta comunque di fenomeni lievi e passeggeri), arrossamento, prurito e gonfiore nella sede di iniezione del farmaco.

L’intercambiabilità è sicura?
Torniamo alla questione intercambiabilità. Come dicevamo, le rigide norme sulla produzione dei biologici, sia originator che biosimilari, e tutte le evidenze finora raccolte garantiscono che lo switch tra un originator e un biosimilare sia del tutto “equivalente sul piano terapeutico”, ribadisce Pasina. “Non vi sono perciò ragioni scientifiche che giustifichino la scelta del farmaco di riferimento rispetto al biosimilare. Questa affermazione è sostenuta da studi chimico-analitici, farmacocinetici, farmacodinamici e da studi controllati. Inoltre, per come avviene per tutti i farmaci biologici, la sicurezza dei biosimilari è costantemente monitorata attraverso specifici studi di farmacovigilanza che hanno l’obiettivo di identificare o quantificare eventuali rischi oltre che confermarne l’efficacia dopo la commercializzazione”.

Via Wired.it

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