Perché Facebook vuole investire nel dating online

via Pixabay

Si chiamerà, semplicemente, Dating. Sarà incorporato nel proprio profilo Facebook ma del tutto indipendente da esso – per ovvie questioni di riservatezza: nessuno vuole che i propri contatti (o il proprio partner) sappiano come, quando e con chi si sta flirtando – e consentirà, almeno all’inizio, di interagire solo con messaggi di testo per scongiurare l’invio (e la ricezione) di immagini oscene o inappropriate. È la mossa proterva con cui Mark Zuckerberg, appena un mese dopo lo scandalo Cambridge Analytica e le polemiche sulla tutela della privacye sull’uso improprio dei dati degli utenti, ha annunciato di volersi lanciare nel (ricco) mercato del dating online. “Negli Stati Uniti”, ha detto il Ceo di Facebook parlando dal palco dell’F8 a San José, “un matrimonio su tre viene combinato grazie a un incontro online. E noi non abbiamo ancora costruito uno strumento per il dating”. Tinder e simili cominciano a tremare, vista la potenza di fuoco di Menlo Park: subito dopo l’annuncio, Match, la società che controlla per l’appunto Tinder e OkCupid, tra le più popolari e usate app per il dating online, ha perso oltre il 22% del suo valore in borsa.

Ma lasciamo da parte gli aspetti economico-finanziari della questione, e proviamo a concentrarci su quelli più scientifici. Visto l’innegabile successo degli strumenti per trovare l’amore online, psicologi e neuroscienziati, infatti, si sono occupati a più riprese della questione, cercando di enuclearne le peculiarità e di capire se e come questi strumenti stiano cambiando le dinamiche della seduzione e dell’innamoramento.

Più o meno come fa un piccione
Cominciamo dalle basi. In generale, tutte le app per il dating online funzionano facendo leva sugli stessi meccanismi psicologici, in particolare quelli legati ai cosiddetti circuiti di ricompensa (ci torneremo tra un attimo). Tuttavia, ci sono alcune sfumature di differenza. OkCupid ed eHarmony, tanto per citarne due, sottopongono agli utenti una serie di domande su interessi, stile di vita e inclinazioni, e successivamente li accoppiano in base ad affinità e convergenze; Tinder, invece, si basa sulla geolocalizzazione: agli utenti vengono proposti i profili di potenziali partner che si trovano nella stessa area geografica e questi esprimono la propria preferenza valutandone una manciata di foto e poche righe di testo. L’interfaccia di queste app è estremamente intuitiva e orientata alla velocità (le valutazioni si esprimono nell’arco di pochi secondi) e la loro user experience fa leva su un meccanismo psicologico chiamato variable ratio reward schedule. Si tratta, sostanzialmente, di un tipo di interazione in cui la potenziale ricompensa (in questo caso il match con il/la partner) è così impredicibile da essere percepita come completamente casuale.

Si tratta di una trappola psicologica abbastanza nota: la promessa della ricompensa aumenta la motivazione degli utenti, e il fatto che tale ricompensa possa arrivare in modo (quasi) casuale incoraggia la dipendenza, proprio come accade con il gioco d’azzardo. Una dinamica già osservata in tempi non sospetti – gli anni quaranta – in una serie di esperimenti condotti dallo psicologo americano Burrhus Skinner, che osservò come dei piccioni che venivano sollecitati con stimoli e ricompense casuali esibissero strani modelli di comportamento: in particolare, dopo un periodo di apprendimento, gli animali cominciavano a muoversi in cerchio, convinti che tale azione avrebbe favorito l’erogazione della ricompensa.

L’idea è che una ricompensa pseudocasuale solleciti il cervello dei piccioni (e degli esseri umani) più di una ricompensa predicibile, perché lo costringe a continuare ad arrovellarsi alla ricerca di un pattern, e di conseguenza a ripetere l’azione. Poco importa che sia girare in cerchio, tirare la leva di una slot machine o far scorrere il dito verso destra sullo schermo del proprio smartphone. Uno studio pubblicato nel 2011 sui Proceedings of the National Academy of Sciences ha confermato, per l’appunto, che l’attesa della ricompensa genera, a livello cerebrale, un maggiore rilascio di dopamina (il neurotrasmettitore responsabile, tra le altre cose, della sensazione di benessere), rispetto a quella rilasciata nel momento in cui si riceve la ricompensa.

Uomini vs donne
Uno dei primi studi quantitativi condotti sul tema delle app per il dating online ha indagato le differenze di genere nell’utilizzo di questi strumenti, con l’obiettivo di confermare (o smentire) le dinamiche già note per la seduzione offline: “Le dinamiche di genere nell’ambito della seduzione e del corteggiamento online”, ci spiega Marta Giuliani, esperta di psicologia della sessualità dell’Ordine degli psicologi della Regione Lazio, “sono note da tempo alla comunità scientifica: in generale, gli uomini sono più propensi a cercare incontri occasionali di carattere erotico-sessuale, mentre le donne sono alla ricerca di relazioni stabili”: lo studio The Gender Similarities Hypotesis, pubblicato nel 2005 da Janet Shibley Hyde, psicologa alla University of Wisconsin-Madison, aveva per esempio evidenziato come gli uomini, in media, aspirassero a relazioni a breve termine, e due lavori successivi (questo e questo) avevano sottolineato che gli uomini fossero più propensi a cercare partner usando metodi di approccio veloci e diretti. Il che porta a una diversa ponderazione della risposta al corteggiamento, con dinamiche analoghe sia offline che online.

Gli autori di uno studio pubblicato nel 2006 hanno generato profili Tinder fasulli maschili e femminili ugualmente attraenti e hanno espresso preferenza positiva per ogni partner proposto dall’app. Per i profili femminili si è osservato un tasso di match del 10,5%; gli uomini, invece, hanno ricevuto feedback positivi solo nello 0,6% dei casi. La maggior parte dei quali, tra l’altro, veniva da altri uomini, gay o bisessuali. Le differenze si acuiscono anche dopo il fatidico match: i risultati dello studio, infatti, hanno anche evidenziato che le donne sono tre volte più propense a inviare un messaggio al potenziale partner rispetto agli uomini, e che i loro messaggi sono in media dieci volte più lunghi di quelli dei maschi. Riassumendo: gli uomini sono meno selettivi, ma le loro conversazioni sono molto più laconiche; le donne, invece, ponderano di più la scelta del partner, ma successivamente cercano di instaurare dialoghi più profondi ed elaborati. Non troppo sorprendente né diverso, tutto sommato, rispetto a quello che succede offline.

Chiacchierate asincrone
Non finisce qui. La lista di affinità e divergenze tra il corteggiamento offline e quello online, e le caratteristiche che rendono quest’ultimo così popolare, è ancora ampia. È ancora Giuliani a darcene contezza: “La modalità di selezione e di conoscenza del partner online si basa prevalentemente sulla scrittura, quindi manca completamente di tutta la parte non verbale (quella che esploriamo, per esempio, con tatto, olfatto e udito) presente invece nel corteggiamento offline. La componente visiva è presente, ma è più bidimensionale. Non solo perché si basa unicamente sulle foto, ma perché le app di dating, almeno all’inizio, ci permettono di vedere (e di far vedere) solo quello che il partner vuole farci vedere, restringendo in qualche modo il nostro campo di valutazione. Le app di dating, infatti, danno la possibilità di costruire un’auto-rappresentazione di sé stessi, una versione potenziata di sé in cui le caratteristiche positive vengono valorizzate a discapito di quelle negative. Il sé reale lascia spazio a un sé ideale, ovvero all’immagine di come vorremmo essere”.

Il vero elemento di successo di Tinder e compagni, ci spiega la psicologa, sta nella deformazione di tempi e modalità di interazione: “Sulle app di dating la comunicazione è del tutto asincrona: mentre nella vita reale abbiamo poche frazioni di secondo per elaborare una risposta, dietro lo smartphone possiamo prenderci tutto il tempo che ci serve e pianificare accuratamente le strategie di corteggiamento”. Una questione non da poco, quella della pianificazione, che può incidere in modo determinante sul successo: uno studio condotto nel 2017 da parte dei creatori di Hinge (altra app di dating molto popolare negli Stati Uniti) ha svelato, per esempio, che attendere più o meno quattro ore prima di inviare un secondo messaggioaumenta la probabilità di ottenere una risposta dall’interlocutore. Una strategia certamente non replicabile offline.

La dinamica della comunicazione asincrona e a distanza, inoltre, è particolarmente efficace anche per un altro motivo: “Le persone più timide e introverse”, spiega ancora Giuliani, “possono certamente beneficiare delle modalità di interazione tipiche delle app di dating online, perché in qualche modo vengono sgravate dall’ansia di essere immediatamente prestazionali e dal livello di frustrazione per un eventuale rifiuto”. Un due di picche ricevuto sullo schermo di un telefono, sostanzialmente, è meno ansiogeno di un rifiuto incassato vis-à-vis, perché viene a mancare la necessità imbarazzante di gestire la comunicazione non verbale. “Ma se è vero”, dice la psicologa, “che la comunicazione asincrona abbatte l’ansia dell’incertezza, contemporaneamente addormenta la capacità di leggere il comportamento non verbale dell’altro. Basti pensare che negli Stati Uniti sono nati veri e propri corsi per preparare gli utenti al primo incontro reale dopo una conoscenza online”.

Basta bugie
Flirtare con lo smartphone non rende soltanto possibile pianificare i tempi del corteggiamento. Diventa anche molto più semplice mentire al proprio partner, almeno nelle prime fasi. Una dinamica più diffusa di quello che si potrebbe pensare: uno studio condotto da Catalina Toma, della University of Wisconsin-Madison, ha svelato per esempio che l’81% degli utenti mente su altezza, peso o età nei propri profili online. Le donne, in particolare, tendono ad alleggerirsi di circa quattro chili, e gli uomini ad alzarsi di un paio di centimetri. Nei casi più gravi si arriva al cosiddetto catfishing, che consiste, spiega Giuliani, nel “creare un falso profilo virtuale per instaurare relazioni con altre persone, utilizzando immagini e informazioni personali fasulle: in questi casi il passaggio a un incontro reale diventa estremamente difficile, se non proibitivo, perché si è costruita un’immagine di sé completamente scollata da quella reale”. Online come offline, insomma, le bugie hanno sempre le gambe corte.

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