Perché i problemi (davvero) non finiscono mai

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(Foto via Pixabay)

Esiste un fondo di verità alla frase “i problemi non finiscono mai”: così almeno suggeriscono i risultati di uno studio pubblicato su Science da un gruppo di ricercatori statunitensi, che si sono interrogati sul perché alcuni problemi sembrano destinati a rimanere tali, senza avere fine. Attraverso una serie di test gli scienziati hanno scoperto un meccanismo per cui tendiamo ad alzare la soglia di giudizio di un problema nel momento in cui questo viene risolto, ovvero, giudichiamo come problemi delle istanze che prima non consideravamo tali. In altre parole, spiegano gli autori, quando le dimensioni di un problema si riducono, tendiamo a ridefinire il problema stesso e se nella pratica  diminuisce, nell’immaginario delle persone aumenta. Ma proviamo a districarci tra tutti questi problemi spiegando cosa hanno fatto i ricercatori. 

Gli studiosi hanno condotto sette test, in ognuno dei quali i partecipanti venivano esposti a una serie di stimoli visivi, e veniva chiesto loro se ogni stimolo fosse o meno attribuibile a un concetto dato. I concetti andavano dai più semplici (come quello relativo al colore di alcuni pallini) ai più complessi (come stabilire o meno quanto minacciosi fossero i volti di alcune persone mostrate nelle immagini). Per esempio, ai partecipanti erano mostrati tanti pallini, di colore diverso (dal viola al blu) e i volontari erano chiamati a identificare unicamente quelli blu. Dopo aver classificato gli stimoli (blu, non blu) i ricercatori hanno cambiato la prevalenza dei blu (per esempio, mettendo meno pallini blu) e sottoposto nuovamente i partecipanti al test. L’obiettivo era capire se il concetto si fosse espanso, ovvero se in questo modo venissero inclusi nel concetto di “pallini blu” pallini che prima non lo erano. I ricercatori hanno osservato che una volta ridotti di numero, venivano classificati come blu lo stesso numero di pallini precedenti. Ovvero, il concetto di blu è stato espanso, rendendo più facile classificare come blu un pallino non blu.

L’idea era quella di capire se in questo modo era possibile alzare la soglia del colore blu, ovvero se, per analogia, venisse considerato un problema ciò che prima non lo era. Analizzando i risultati dei test, sembra dunque che una volta diminuiti i casi problematici, tendiamo ad allargare la definizione del problema stesso, o, se vogliamo, ad abbassare la soglia oltre la quale una cosa viene classificata come problema, e tendiamo a considerare lo stesso numero di questioni che c’erano in precedenza.

Uscendo dallo studio e immaginando di muoverci in un contesto reale, quanto mostrato dall’esperimento dei ricercatori potrebbe trovare un equivalente per esempio nel bullismo. Se, mettiamo, analizzassimo il numero di fenomeni di bullismo nelle scuole di una provincia, registrandone 100 in un anno, e rifacessimo l’analisi dopo aver attuato strategie di prevenzione di sperato successo, potremmo incorrere nel rischio di classificare come bullismo alcuni episodi che l’anno precedente non avremmo considerato. Trovandoci di fatto sempre con 100 casi, tendendo a vedere il problema come uguale all’anno precedente, anche se magari potrebbe essere stato migliorato.

Tornando alla ricerca, i ricercatori hanno svolto dei test anche con delle immagini relative a volti più o meno minacciosi. Quando sono state mostrate meno facce minacciose, volti prima giudicati neutrali sono state giudicati invece come minacciosi (in maniera analoga al giudizio espresso sui pallini). Gli scienziati hanno anche osservato che questa tendenza non è controllabile, ovvero non cambiava se ai partecipanti veniva spiegato il meccanismo e chiesto di prestare più attenzione alla loro scelta. Nemmeno a pagamento: ai partecipanti, infatti, sono stati offerti dei soldi se fossero riusciti a mantenere i criteri di classificazioni uguali al test originario, ma questo non portava a nessun cambiamento. Ma c’è di più: se, invece di diminuire il numero di casi problematici questi venivano aumentati, il fenomeno si rovesciava, ovvero venivano giudicati dei problemi come non problemi. Tornando ai pallini: se quelli blu aumentano questi vengono classificati come non blu.

Ma che implicazioni ha tutto ciò? In alcuni casi la flessibilità di giudizio – nel considerare cosa può essere o meno un problema in un determinato contesto – è un fenomeno necessario, come ad esempio nella scelta dei casi urgenti in pronto soccorso. Per esempio se ci sono molti pazienti gravemente ustionati, chi ha un braccio rotto dovrà aspettare pazientemente il suo turno, ma se in sala è presente solo il paziente col braccio rotto, verrà classificato come prioritario. Di contro, esistono alcuni casi in cui, non è necessario né auspicabile fare appello alla flessibilità di giudizio. Per esempio, come spiegano gli autori, questo meccanismo non può né dovrebbe entrare nelle valutazioni mediche relative alla diagnosi o meno di tumore. “Cosa viene considerato come un frutto maturo dovrebbe dipendere dagli altri frutti presenti – scrivono in proposito gli autori – ma ciò che viene considerato come un crimine o un tumore non dovrebbe”. 

Il fatto dell’espansione della definizione di un problema potrebbe essere letta da alcuni come la fine del politically correct”, dice Daniel Gilbert, autore dello studio, alla Harvard Gazette. “Si potrebbe pensare che ridurre la discriminazione potrebbe far percepire più atteggiamenti come discriminatori. Ma per altri, invece, questo può essere letto come un aumento nella sensibilità sociale, perché diventiamo più coscienti di problemi che prima non potevamo riconoscere”. Ci sono poi delle implicazioni filosofo-antropologiche: “I nostri studi suggeriscono che se il mondo migliora, diventiamo più critici, e questo può farci dire erroneamente che non è migliorato per nulla. Sembra che il progresso tenda a mascherarsi” continua Gilbert: “Stiamo semplicemente dicendo che non è facile mantenere fisse le soglie di discernimento. Sembra che la nostra definizione dei concetti si espanda, che lo vogliamo oppure no. Potrebbe essere necessario un meccanismo istituzionale per far fronte al fenomeno, considerato che essere semplicemente consci del problema non basti a prevenirlo. Ma come si può prevenire? Per adesso, nessuno lo sa. È per questo che è stata inventata la frase servono ulteriori studi”.

Riferimenti: Science

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