Quelle orme fossili che raccontano l’infanzia nella preistoria

(Foto: Sapienza)

Cerchiamo la vita tra le stelle, ma basterebbe guardare sotto i nostri piedi per scoprire tracce recondite di antichissimi esseri viventi. Si tratta dei nostri antenati, ominidi vissuti nel passato più remoto. Ci troviamo in Etiopia, quasi un milione di anni fa. Ai margini di una piccola pozza d’acqua, un gruppo di uomini e donne ha appena catturato un ippopotamo dopo una faticosa battuta di caccia. Alcuni di loro sono impegnati nel macellare la carcassa dell’animale, altri nel fabbricare piccoli e appuntiti strumenti in pietra, con cui lacerarne le carni. Ci sono poi alcuni bambini, che si muovono freneticamente intorno ai loro genitori. Lo sappiamo perché le loro tracce si sono conservate intatte fino ad oggi, dopo essere state ricoperte dalle ceneri di un vulcano poco distante. Tracce che sono state recentemente riportate alla luce da un team di ricercatori dell’Università La Sapienza di Roma, coordinato da Margherita Mussi, docente del dipartimento di Scienze dell’Antichità e direttore della missione archeologica italiana a Melka Kunture e Balchit.

(Foto: Sapienza)

 

Quali sono le caratteristiche che hanno consentito l’insediamento di ominidi nell’area di Melka Kunture?

Quando parliamo di Melka Kunture, dobbiamo immaginare un’area archeologica di quasi 100 chilometri quadrati attraversata dall’Awasch, grande fiume dell’Etiopia che termina prima di raggiungere il mar Rosso. Ma a differenza di altri grandi siti Pleistocenici (lepoca geologica del Paleolitico, compresa tra 2,8 milioni e 11.700 anni fa – ndr), siamo a 2000-2200 metri di quota, su un altopiano ondulato, circondato da edifici vulcanici. Non si tratta di un elemento banale, perché ne condiziona fortemente lambiente: fa caldo durante il giorno, fa molto freddo durante la notte. Inoltre, in certi periodi dellanno, da fine febbraio a fine ottobre per la precisione, piove tanto, caratteristica piuttosto inusuale considerato che ci troviamo in Africa. Questo ha conseguenze molto importanti sulla vegetazione, che non è quella tipica della savana. Gli animali stessi sono endemici, si sono evoluti in questa regione in maniera relativamente autonoma e indipendente rispetto al resto della popolazione. Ma ciò che rende Melka Kunture unica al mondo è la presenza di imponenti affioramenti di materie prime adatte alla scheggiatura, come l’ossidiana, una roccia vulcanica utilizzata massicciamente per la produzione di manufatti già a partire dall’Olduvaiano (termine usato per indicare il complesso dei primi strumenti in pietra prodotti dall’uomo in Africa – ndr). Siamo letteralmente in un altro mondo, e proprio per questo, Melka Kunture è un sito prezioso, perché fa quasi da cartina di tornasole alle capacità evolutive degli ominidi.

Sulla base di queste scoperte, cosa possiamo dire della vita quotidiana degli ominidi insediati a Melka Kunture?

Stiamo parlando di eventi accaduti un milione e mezzo di anni fa, una distanza temporale difficilmente concettualizzabile se si pensa che l’Impero romano risale ad “appena” 2000 anni fa. Tuttavia, tentando un’operazione poco raffinata, potremmo immaginare la presenza di gruppi umani piccoli, ben al di sotto dei 20 individui, che hanno una conoscenza molto precisa e dettagliata del territorio in cui si trovano, di cui hanno il pieno controllo. In realtà, in una zona isolata geograficamente come Melka Kunture, il vero problema non era dato dalla ricerca del cibo ma… dalla prosecuzione della specie. Il rischio era che, in comunità cosi ristrette numericamente, potessero esserci solo maschi o solo femmine, o solo vecchie femmine e giovani maschi, e viceversa. Un problema demografico che avrebbe potuto determinare potenzialmente la loro estinzione.

(Foto: Sapienza)

Arriviamo alla scoperta più recente, quella di impronte di bambini risalenti a 700 mila anni fa. Quali sono le fasi che hanno accompagnato questo straordinario ritrovamento?

Innanzitutto devo dire che questa scoperta non è avvenuta in un giorno, ma è frutto di un lungo e faticoso lavoro. Per diversi anni, i risultati ottenuti sono stati pochi. Ad un certo punto, nel 2013, Flavio Altamura (primo firmatario dell’articolo pubblicato su Scientific Reports – ndr) mi segnalò la presenza di alcune macchie sul terreno. Ricordo bene quel giorno: mi trovavo ad Addis Abeba per alcune pratiche, Flavio mi chiese di andare ad un internet point per il riconoscimento delle impronte: si trattavano in realtà di tracce di ippopotamo, sotto le quali si celavano incredibilmente delle impronte umane. La tipica forma allungata non lasciava dubbi, eppure Flavio era incerto, dato che non era visibile l’arco plantare. Da nonna, ho subito pensato che i bambini hanno sostanzialmente un piede piatto, con un arco plantare ancora non perfettamente sviluppato. Per di più, c’erano una serie di piccole dita impresse sul terreno, in parte sovrapposte, come se uno di quei bambini non fosse ancora in grado di camminare, ma si dondolasse, facendo perno sul tallone. Fortuna poi ha voluto che quelle impronte venissero ricoperte di cenere vulcanica, che ne ha permesso la datazione. Ipotizzando che il ritmo della crescita fosse simile a quello odierno, le impronte corrispondono a quelle di bambini molto piccoli, di età compresa tra 1 e 3 anni, vissuti circa 700 mila anni fa. È ragionevole pensare che la loro fase evolutiva corrisponda a quella di Homo heidelbergensis, antenato comune della nostra specie e dei Neandertaliani. E’ sorprendente l’idea che i bambini non fossero separati dal gruppo, ma partecipavano persino alle attività più pericolose, comprese le spedizioni di caccia.

Concludendo, ci sono indizi che fanno ritenere di poter identificare ulteriori tracce del passato a Melka Kunture?

Assolutamente si. Credo ci sia ancora tanto lavoro da fare. Queste informazioni, per esempio, ci permetteranno di capire come si è evoluto il movimento dello scheletro umano nel corso del tempo, ma soprattutto ci restituiranno una prospettiva diretta, oserei dire intima, della vita quotidiana degli ominidi insediati a Melka Kunture, come vere fotografie del passato.

Articolo prodotto in collaborazione con il Master SGP di Sapienza Università di Roma

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here