Galileo: ecco la lettera che gli causò i primi guai con l’Inquisizione

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Credit: Royal Society

Una lettera di Galileo che si credeva perduta da 250 anni e uno storico che la scopre per caso nella biblioteca della Royal Society di Londra, mentre si trovava lì per altre ricerche. Non è la trama di un film di Indiana Jones, bensì la storia vera di quello che è successo a Salvatore Ricciardo, ricercatore dell’Università di Bergamo. Il 2 agosto scorso Ricciardo ha riconosciuto sul catalogo online della biblioteca una lettera di dello scienziato pisano che porta la data del 21 ottobre del 1613, indirizzata all’amico matematico Benedetto Castelli. Un documento, racconta un articolo di Nature, di cui nessuno si era accorto, e che potrebbe avere una certa rilevanza storica, oltre che filologica.

Per capire l’importanza di questi sette fogli che sembrano scritti e corretti da Galileo stesso, bisogna tenere conto del contesto storico di quel periodo. Siamo in piena controriforma e la chiesa cattolica sta tentando di ristabilire il proprio primato non solo sul piano religioso, ma anche nelle arti e nelle scienze. Tredici anni prima, Giordano Bruno era stato giustiziato in Campo dei Fiori, a Roma, dopo un processo e una condanna per eresia. “Era un periodo pericoloso per entrare in una disputa con i vertici ecclesiastici”, ci spiega Giulio Peruzzi, professore di Storia della Fisica all’Università di Padova. Era quindi raro che scienziati di fama prendessero posizione pubblicamente su temi controversi.

La disputa sulla struttura del cielo

Uno di questi temi era sicuramente la “struttura del cielo”. Niccolò Copernico, fisico polacco, aveva pubblicato “Sulla Rivoluzione delle Sfere Celesti” nel 1543, in cui sosteneva un modello astronomico con il sole al centro e i pianeti, fra cui la Terra, in rotazione attorno ad esso. Questo modello era in opposizione rispetto a quello tolemaico, basato sull’interpretazione letterale della Bibbia.

Galileo decide di intervenire in questa disputa, e lo fa per lettera, scrivendo la sua opinione ad amici e colleghi. Galileo interviene in modo prudente, bisogna ammetterlo, in difesa del sistema Copernicano. Non mette mai in discussione il fatto che la Bibbia fosse ispirata dallo Spirito Santo e che contenesse la verità religiosa. Dice però che il testo sacro era stato scritto perché il messaggio religioso fosse comprensibile a tutti, ma senza accuratezza scientifica. Pertanto, non doveva essere letto, per i fatti scientifici, in modo letterale.

Nonostante la premura, lo scienziato pisano entra in contrasto con l’Inquisizione. La prima disputa nacque proprio da una copia della sua lettera, inviata dal frate domenicano Niccolò Lorrini all’Inquisizione di Roma il 7 febbraio 1615. Una settimana più tardi, il 15 febbraio, Galileo scrive ad un suo amico ecclesiastico, Piero Dini, lamentandosi della lettera inviata da Lorrini: secondo Galileo, quella versione della lettera era stata manomessa. A queste lamentele, Galileo accompagna una nuova versione della lettera, che lui assicura essere il testo originale, scritta in un linguaggio più morbido rispetto alla versione diffusa da Lorrini. Riferendosi ad alcune affermazioni contenute nella Bibbia, per esempio, in questa versione Galileo scrive “sembra diverso dalla verità” invece di “falso se si guarda al significato letterale delle parole”, e “nascondere” al posto di “velare”.

Una lettera che smentisce Galileo

Il problema è che una versione precedente della lettera inviata da Lorrini all’Inquisizione circolava già da anni, dal 1613, per essere precisi. Ed è quella che si pensa ora di aver ritrovato negli archivi della Royal Society. Se l’autenticità del documento fosse confermata si dimostrerebbe che la versione inviata da Lorrini e conservata negli archivi vaticani – e in numerose altre collezioni in giro per il mondo – non era stata affatto manomessa, come Galileo invece sosteneva. Semplicemente, nella sua prima versione, le critiche dello scienziato pisano alla visione di un’astronomia “ecclesiastica” erano più incisive.

Fu probabilmente Castelli stesso a chiedere a Galilei di intervenire pubblicamente in difesa del sistema copernicano”, sottolinea Peruzzi. “Il processo che ne è scaturito e che gli storici chiamano primo processo a Galileo, era in realtà contro Copernico ed il suo libro, e infatti si risolse con una messa al bando del libro di Copernico e con una ammonizione per Galileo, con la richiesta di abbandonare il sistema copernicano. La scoperta della lettera, se fosse confermata, non cambierebbe la storia di Galileo Galilei per come la conosciamo, ma avrebbe una grandissima importanza filologica”.

Attendiamo quindi i risultati su cui sta lavorando Salvatore Ricciardo insieme al suo supervisore Franco Giudice e allo storico della scienza dell’Università di Cagliari Michele Camerota. Il loro studio sulla lettera perduta di Galileo Galilei sarà pubblicato sul Royal Society Journal: Notes and Records.

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