Come si mantiene l’attenzione? Ce lo dice il barbagianni

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Come fa il cervello a scegliere su quale quale stimolo concentrarsi tra i tanti, milioni, che continuamente riceve dall’ambiente? Cosa innesca l’attenzione? La risposta a questa domanda è sorprendente e arriva dai barbagianni. Una ricerca della John Hopkins University sul cervello di questi rapaci notturni, infatti, ha scoperto le particolari performance di alcuni neuroni, capaci di memorizzare più posizioni contemporaneamente: un soluzione energeticamente sostenibile, comune a tutti gli animali, esseri umani compresi. Lo studio, pubblicato recentemente su Cell Reports,  aiuta a comprendere meglio cosa non funzioni nel cervello delle persone affette da deficit dell’attenzione o disturbi dell’apprendimento.

Proencefalo o mesencefalo?

Il meccanismo con cui il cervello seleziona gli stimoli a cui prestare attenzione è un problema tuttora non risolto. Per anni, gli scienziati hanno studiato il proencefalo, la parte dell’encefalo nota come cervello, ma senza approdare a risultati definitivi. Poi, gli sforzi si sono concentrati su un’altra zona: il mesencefalo. Negli animali in fase di sviluppo ci sono tre vescicole da cui si origina l’encefalo. La seconda, che si sviluppa meno delle altre, dà origine al mesencefalo (o cervello medio).

“Tutti gli animali hanno bisogno di prestare attenzione agli stimoli esterni che possono condizionare la loro sopravvivenza. Tuttavia, non tutti hanno un proencefalo sviluppato”, ha dichiarato Shreesh Mysore, neuroscienziato e coordinatore dello studio. Il mesencefalo, invece, è stato osservato in tutti gli animali: in termini evolutivi è la parte più antica del cervello. Negli esseri umani è parte del tronco encefalico, che connette il cervello al midollo spinale. Negli uccelli, invece, il mesencefalo ha una struttura particolarmente semplice, adatta ad essere studiata. In particolare, permette di tracciare facilmente l’attività di neuroni specifici.

I neuroni dei barbagianni

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(Foto: Nagaraj Mahajan/Johns Hopkins University)

La scelta dei ricercatori è quindi ricaduta sui barbagianni Tyto Alba. Questi rapaci notturni sono straordinari sotto diversi aspetti fra cui la capacità di apprendimento, la vista e l’udito finissimi. I ricercatori li hanno messi alla prova con stimoli visivi, misurando di volta in volta l’attività di specifici neuroni nel mesencefalo.

I risultati sono stati sorprendenti. Di solito, i neuroni codificano lo spazio in maniera topografica: neuroni vicini traducono spazi vicini. Invece, nel cervello dei barbagianni i ricercatori hanno scoperto che a singoli neuroni erano associate più posizioni, anche molto lontane fra loro. Questi neuroni raddoppiavano o triplicavano la loro attività codificando informazioni spaziali sconnesse fra loro.

Più posizioni in un neurone

Il primo autore della ricerca, Nagaraj Mahajan (dottorando in ingegneria elettronica) ha realizzato un modello per capire meglio i risultati. Nella sua simulazione computazionale, Mahajan ha osservato che se il cervello deve segnalare qualcosa che merita attenzione, l’unico sistema possibile è che i neuroni codifichino ognuno più zone, anche sconnesse fra loro. Questo sistema è l’unico perché in questo modo il cervello può mantenere l’equilibrio metabolico e un livello di attività energeticamente sostenibile. Per decodificare il mondo, ogni neurone deve tradurre più posizioni. E il modello di Mahajan, neanche a dirlo, si adatta perfettamente al cervello reale dei barbagianni.

Un’ulteriore conferma è arrivata dal conteggio. Il numero reale di neuroni contenuti nel mesencefalo degli uccelli era circa il 40% in meno rispetto al numero delle posizioni da decodificare. Il principio con cui le informazioni sugli stimoli visivi si sono distribuite nei neuroni era di tipo combinatorio, come in un gioco che permette di giungere alla stessa soluzione in modi diversi. Questo risultato è una spiegazione, a livello neurale, di come il cervello risolve il problema della selezione di tutte le possibili informazioni e di come le distribuisce.

“Questo è uno studio di base”, ha dichiarato Mysore, “ma pensiamo che possa aiutare per giungere a delle terapie”. Infatti, avendo compreso cosa succede a livello neurale, si potrebbe arrivare a capire quale meccanismo si inceppa in disturbi come i deficit dell’apprendimento o dell’attenzione.

Riferimenti: Cell Reports

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