Hiv e Aids, è italiano il vaccino Tat che stana il virus latente

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Potrebbe essere la svolta che le persone con hiv stavano aspettando. Il vaccino Tat, in sperimentazione in otto centri italiani, sembra ridurre del  90% il serbatoio virale latente, cioè il dna del virus che si nasconde all’interno delle cellule e si rende invisibile alla terapia antiretrovirale. È quanto emerso dello studio appena pubblicato su Frontiers in Immunology dal gruppo guidato da Barbara Ensoli, direttore del Centro nazionale per la ricerca su hiv/Aids dell’Istituto superiore di sanità (Iss): un risultato molto promettente in prospettiva di un migliore controllo della malattia sul lungo periodo e, chissà, forse anche di eradicazione del virus.

Il virus latente

I farmaci antiretrovirali, sebbene siano in grado di negativizzare i pazienti (cioè far sparire il virus dal sangue), non riescono a eliminare completamente il virus dall’organismo: hiv si nasconde dentro le cellule infettate e può rimanere silente, invisibile al sistema immunitario, con però la possibilità di riattivarsi ripristinando l’infezione.

Per questo la terapia antiretrovirale è a vita. Le cure attuali, dunque, sono efficaci per controllare l’Aids e impedire la trasmissione del virus solo se il paziente aderisce correttamente alla terapia. Più facile a dirsi che a farsi, in molti casi. E a questo problema si aggiunge l’inevitabile tossicità dei farmaci. Trovare una soluzione per migliorare la gestione della malattia a lungo termine e, magari, distruggere il serbatoio latente di hiv è una priorità della lotta all’Aids.

Il vaccino Tat

La ricerca di Ensoli non è nata ieri. Il progetto ha cominciato a mettere radici nel 1995 e circa otto anni fa 92 persone sieropositive sono state coinvolte in uno studio sperimentale per testare gli effetti di un vaccino anti-hiv (detto Tat) che avrebbe dovuto arrivare là dove la terapia con antiretrovirali non riesce ad arrivare, cioè al serbatoio latente del virus.

I volontari sono stati monitorati in otto centri italiani (ospedale San Raffaele di Milano, ospedale Sacco di Milano, ospedale San Gerardo di Monza, ospedale Universitario di Ferrara, policlinico di Modena, ospedale Santa Maria Annunziata di Firenze, Istituto San Gallicano – Istituti fisioterapici ospitalieri di Roma, policlinico Universitario di Bari) e l’analisi dei dati clinici ha mostrato come il vaccino Tat, abbinato alla terapia antiretrovirale, determini un calo significativo del dna provirale nel sangue in molto meno tempo (dalle 4 alle 7 volte più velocemente) rispetto alla sola terapia farmacologia standard. Inoltre a otto anni di distanza dalla vaccinazione il serbatoio latente di virus è diminuito del 90%.

“Sono risultati che aprono nuove prospettive per una cura funzionale dell’hiv, ossia una terapia in grado di controllare il virus anche dopo la sospensione dei farmaci antiretrovirali”, ha commentato Ensoli all’Ansa. “In tal modo, si profilano opportunità preziose per la gestione clinica a lungo termine delle persone con hiv, riducendo la tossicità associata ai farmaci, migliorando aderenza alla terapia e qualità di vita, problemi rilevanti soprattutto in bambini e adolescenti. L’obiettivo, in prospettiva, è giungere all’eradicazione del virus”.

Il prossimo passo – finanziamenti permettendo (servirebbero infatti 18 milioni di euro per continuare le ricerche) – sarà capire per quanto tempo il vaccino Tat consenta ai pazienti di tenere sotto controllo il virus senza assumere farmaci.

Via: Wired.it

Approfondimenti: Hiv: le cure e le sfide della ricerca oggi

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