Cambiamenti climatici: quanto olio produrremo tra 50 anni?

    Come sappiamo, è previsto che la temperatura della Terra continui ad aumentare nei prossimi decenni. Una delle conseguenze più difficili da calcolare di questi cambiamenti climatici è in che modo influenzeranno le produzioni agricole nelle diverse aree del pianeta. Uno studio dell’Enea ha analizzato l’evoluzione che subirà nei prossimi 50 anni una delle più antiche coltivazioni del Mediterraneo: quella delle olive. I risultati, pubblicati su Pnas, disegnano una complessa mappa dell’area, con vincitori e sconfitti sia su scala regionale che locale. Se in alcune aree infatti la produzione potrebbe subire un aumento superiore al 40%, in altre si assisterà ad un calo che potrebbe raggiungere anche il 7%, a danno sopratutto delle piccole coltivazioni.

    I modelli più attuali prevedono che il bacino del Mediterraneo subirà un aumento delle temperature di circa due gradi entro il 2050-2060. Calcolarne l’effetto sulla produzione di olive però non è semplice. L’ulivo infatti è un albero piuttosto esigente: non sopporta bene il freddo, ma ha bisogno di abbondanti precipitazioni e di un suolo fertile per garantire una produzione redditizia. Un’altra variabile importante è rappresentata inoltre dalla mosca dell’olivo (Bactrocera oleae), un parassita capace di provocare gravi danni alla produzione di olio di oliva, il cui ciclo vitale è influenzato profondamente dai cambiamenti climatici.

    I ricercatori dell’Enea hanno sviluppato un modello che tiene conto dell’influenza dell’aumento delle temperature su tutti questi fattori, concentrandosi in particolare sui cambiamenti che produrrà nel rapporto tra piante e parassiti. Gli alberi di ulivo e le mosche hanno infatti una differente tolleranza all’aumento delle temperature, e quindi ogni area della regione vedrà evolvere in maniera diversa le infestazioni da parte del parassita.

    Applicando il modello ad un aumento di circa 1,8 gradi, quella che emerge è un’immagine sfaccettata della regione. Prendendo in considerazione l’intero bacino del Mediterraneo, la produzione di olive non dovrebbe subire cambiamenti rilevanti. I rendimenti delle coltivazioni dovrebbero infatti aumentare del 4,1%, l’impatto dei parassiti diminuire dell’8% e i guadagni netti migliorare del 9,6%. A livello locale però, le differenze si fanno notevoli. Nelle aree del Nord Africa, ad esempio, la temperatura media dovrebbe superare quella tollerata dalla mosca dell’ulivo senza provocare però un inaridimento eccessivo del suolo, e la produzione di olio dovrebbe quindi aumentare di circa il 40%. I più penalizzati saranno invece i paesi del Medio Oriente, dove si potrebbe assistere ad un declino del 7,2% della produzione annua.

    In Italia, prendendo in considerazione l’intero Paese la situazione dovrebbe rimanere sostanzialmente invariata. Si assisterà però ad un aumento dei profitti nelle zone di coltivazione intensiva, controbilanciato da una diminuzione della produzione che colpirà circa il 21% del territorio, concentrata in aree dove la produzione è gestita da piccoli coltivatori. Queste aziende agricole di dimensioni ridotte svolgono però un ruolo fondamentale per la conservazione del territorio, della biodiversità e della fauna selvatica, e il loro abbandono da parte dei coltivatori potrebbe quindi avere effetti devastanti sul nostro patrimonio ambientale.

    Riferimenti: Fine-scale ecological and economic assessment of climate change on olive in the Mediterranean Basin reveals winners and losers; Luigi Ponti, Andrew Paul Gutierrez, Paolo Michele Ruti, Alessandro Dell’Aquila; Pnas doi: 10.1073/pnas.1314437111

    Credits immagine: Cinzia A. Rizzo/Flickr

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