Come è cambiata la flora intestinale dalla preistoria

    I batteri che abitano nel nostro intestino (il microbiota intestinale) svolgono un ruolo fondamentale per la salute dell’organismo, partecipando ai processi digestivi e aiutando il sistema immunitario a combattere i microrganismi patogeni. È stato dimostrato che queste comunità batteriche agiscono in maniera adattativa, ottimizzando le performance metaboliche e immunologiche in risposta a diversi alimenti, ma fino ad oggi non era chiaro fino a che punto i cambiamenti nella dieta potessero influire sul loro funzionamento. Per scoprirlo, un team di ricerca internazionale di cui fa parte anche l’Istituto di tecnologie biomediche del Consiglio nazionale delle ricerche (Itb-Cnr), ha analizzato il microbiota intestinale degli Hadza, una delle ultime popolazioni di cacciatori-raccoglitori della Tanzania, confrontandola con quella degli italiani, scelti come rappresentanti dello stile di vita occidentale.

    I risultati, pubblicati sulla rivista Nature Communications, hanno evidenziato nel tratto gastrointestinale degli Hadza un profilo microbico mai osservato in nessun’altra popolazione umana, a conferma dell’importante capacità adattativa di questi “batteri buoni”. “Gli Hadza, una tribù di circa 200-300 individui, rappresentano una testimonianza unica dello stile di vita dei nostri predecessori paleolitici, che ha caratterizzato il 95% della storia dell’evoluzione umana”, spiega Clarissa Consolandi, ricercatrice dell’Itb-Cnr che ha partecipato allo studio. “I risultati dimostrano come l’assetto funzionale della loro comunità microbica intestinale sia altrettanto unico. È perfettamente adattato a metabolizzare e a ricavare energia dagli alimenti fibrosi che essi abitualmente consumano, grazie alla particolare produzione del propionato, un acido grasso, rispetto al butirrato più abbondante negli italiani. Inoltre, il microbiota di uomini e donne di questa tribù differisce in maniera sorprendente, mai vista in altra popolazione umana, e riflette le divisioni del lavoro nella comunità, con implicazioni per la fertilità femminile”.

    Gli Hadza possiedono insomma un ecosistema microbico intestinale estremamente diverso, e più variegato, da quello delle popolazioni dei paesi industrializzati. “Quest’elevata diversità potrebbe corrispondere alla maggiore complessità funzionale di estrema rilevanza nell’ambito della salute”, prosegue Consolandi, “mentre il suo successivo impoverimento si lega a fattori quali igienizzazione e alto contenuto di zuccheri e grassi nella dieta, ma anche a malattie croniche emergenti delle nazioni industrializzate, quali sindrome del colon irritabile, cancro al colonretto, obesità, diabete di tipo II, morbo di Crohn”.

    Nel microbiota degli Hadza sono risultati inoltre presenti alte quantità di alcuni microrganismi che noi consideriamo normalmente batteri patogeni, come il Treponema, mentre è risultato povero di gruppi considerati benefici, ad esempio i probiotici bifidobatteri. “Il fatto che però gli Hadza non siano soggetti a malattie infiammatorie croniche frutto di disbiosi microbiche porta a ridefinire i concetti di sano e malato del microbiota intestinale, in funzione del contesto”, conclude Consolandi. “Lo studio dimostra dunque come i microrganismi residenti nell’intestino siano partner essenziali per adattarsi a stili di vita e ambienti diversi, di cui dobbiamo preservare la diversità funzionale”.

    Riferimenti: Gut microbiome of the Hadza hunter-gatherers; Schnorr S, Candela M, Rampelli S, Centanni M, Consolandi C, Basaglia G, Turroni S, Biagi E, Peano C, Severgnini M, Fiori J, Gotti R, De Bellis G, Luiselli D, Brigidi P, Mabulla A, Marlowe F, Henry A, Crittenden A‎.; Nature Communications doi:10.1038/ncomms4654

    Credits immagine: Max Planck Institute for Evolutionary Biology

    Se avete ricerche e studi da segnalare alla redazione per la rubrica “Ricerca d’Italia” scrivete a redazione@galileonet.it

    1 commento

    1. Mi sembra che siano riportate affermazioni poco scientifiche.
      Ad esempio, gli Hadza sono 200-300 individui. Come si fa a sostenere che vi siano meno casi di cancro del colon rispetto alla popolazione italiana?
      In Italia si osservano 4 nuovi casi ogni 10.000 abitanti e soprattutto negli anziani.

      Quanti secoli di osservazione sono necessari per constatare ad esempio che l’incidenza di cancro del colon fra gli Hadza sia – ad esempio – la metà di quella che si registra in Italia, e cioè 2 casi ogni 10.000 abitanti?

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