Staminali: una terapia cellulare senza trapianto

    Cellule staminali sì, ma utilizzate in un modo completamente nuovo: trasformate cioè in “fabbriche di farmaci”, con cui produrre proteine e fattori di crescita per accelerare la cicatrizzazione delle ferite. È l’innovativo intervento di medicina rigenerativa realizzato dai ricercatori dell’Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano, e presentato sulla rivista Stem Cell Research & Therapy. La tecnica sfrutta piccole strutture dette “scaffolds”, che una volta immerse nelle cellule staminali si imbevono delle sostanze che queste producono, e possono quindi essere utilizzate come bendaggi speciali, capaci di aiutare l’organismo a cicatrizzare ferite croniche (come le ulcere diabetiche) in un periodo di tempo anche due volte più breve.

    “Si tratta di un approccio del tutto nuovo all’uso delle cellule staminali”, spiega Eugenio Parati, direttore del Dipartimento di neuroscienze cliniche dell’Istituto Neurologico Carlo Besta e coordinatore dello studio. “Invece di usarle direttamente, come una sorta di panacea capace di diventare qualsiasi tipo di cellula, noi le abbiamo utilizzate come produttrici di molecole attive, una sorta di capsule che contengono più farmaci, senza la necessità di trapiantarle nel corpo”. Si tratta quindi di una vera e propria terapia cellulare, che non necessita però di trapiantare le cellule nel paziente. Questo, spiegano i ricercatori, porta diversi vantaggi: pratici, perché si possono riutilizzare più volte le stesse staminali, e medici, perché trattandosi solo di molecole non ci sono pericoli di rigetto.

    Nello studio studio, i ricercatori dell’Istituto Besta hanno utilizzato degli scaffolds in fibroina della seta, un materiale estremamente sottile, in grado di sciogliersi nel corpo senza danneggiare l’organismo, e di rilasciare progressivamente le molecole in essi contenute. Su queste strutture sono state “ancorate” delle staminali, le cellule adipose mesenchimali adulte, per fare in modo che gli scaffolds si imbevessero delle proteine e dei fattori di crescita prodotti dalle cellule. È stata quindi valutata l’efficacia della tecnica su topi diabetici, verificando se l’applicazione degli scaffolds velocizzasse la cicatrizzazione delle lesioni croniche che caratterizzano la malattia.

    I ricercatori hanno sperimentato sia l’uso di scaffolds che avevano ancora le staminali ancorate su di essi, sia di scaffolds da cui le cellule erano state rimosse, dimostrando che entrambe le tecniche permettono di velocizzare significativamente la guarigione delle lesioni. In tre giorni infatti l’area della ferita ha dimostrato di ridursi rispettivamente del 40% nel caso di scaffolds con le staminali ancorate, e del 35% per quelli decellularizzati, arrivando in entrambi i casi a completa guarigione in circa 10 giorni, metà del tempo che le lesioni impiegano a cicatrizzarsi naturalmente.

    I risultati confermano quindi che le sostanze prodotte dalle cellule rimangono intrappolate nella matrice anche dopo la rimozione delle stesse, mantenendo una uguale capacità di riparare i vasi delle cellule. La matrice decellularizzata consente però una più facile conservazione, una riduzione della possibilità di reazioni immunologiche e dunque di rigetto, e un minor rischio di infezioni.

    Riferimenti: Stem Cell Research & Therapy; Decellularized silk fibroin scaffold primed with adipose mesenchymal stromal cells improves wound healing in diabetic mice; Stefania Elena Navone, Luisa Pascucci, Marta Dossena, Anna Ferri, Gloria Invernici, Francesco Acerbi, Silvia Cristini, Gloria Bedini, Valentina Tosetti, Valentina Ceserani, Arianna Bonomi, Augusto Pessina, Giuliano Freddi, Antonio Alessandrino, Piero Ceccarelli, Rolando Campanella, Giovanni Marfia, Giulio Alessandri e Eugenio Agostino Parati; doi:10.1186/scrt396

    Credits immagine: Umberto Salvagnin/Flickr

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