Tutelare l’obiezione di coscienza o un servizio sanitario equo?

    A 1437 studenti di medicina – frequentanti la St George’s University di Londra, la Cardiff University, il King’s College di Londra e la Leeds University – è stato inviato un questionario per rilevare il loro parere sulla obiezione di coscienza: pensate che ai dottori dovrebbe essere permesso di fare obiezione rispetto a procedure che considerano moralmente ripugnanti? Il Journal of Medical Ethics ha pubblicato il risultato dell’indagine, e il quadro che ne emerge è molto interessante.

    Hanno risposto in 733 (51%) e circa la metà ha risposto affermativamente. Tra gli studenti di medicina musulmani è maggiormente diffusa l’idea che un medico abbia il diritto di rifiutare di eseguire un aborto, di prescrivere contraccettivi o di curare un paziente ubriaco o drogato. Il questionario infatti prevedeva anche alcune domande sulle credenze religiose, il sesso, la specializzazione intrapresa e l’etnia. Un terzo ha dichiarato di non avere fede, poco più del 17% di essere protestante. Atei e cattolici hanno risposto in percentuali simili (circa il 12%).

    A essere d’accordo con la liceità dell’obiezione è stato il 45% del campione; il 14% ha manifestato incertezza e il 40% ha risposto negativamente. Tre su quattro studenti musulmani hanno risposto di sì, circa la metà tra gli studenti ebrei, protestanti e quelli con altre credenze religiose. Tra chi ha risposto affermativamente si passa dal 34% appartenenti alla fede induista al 46% per quella cattolica. Tra gli studenti che avevano scelto il corso di studi di 5 anni la percentuale arriva al 21%; molto più bassa quella degli studenti che frequentano un corso di 4 anni (3%).

    L’interruzione di gravidanza è l’argomento più controverso – in Italia lo si capisce anche dalla difficoltà nel garantire il servizio, difficoltà che è a volte prossima alla impossibilità. Non è difficile rendersi conto che in un ospedale in cui un solo medico non è obiettore di coscienza il servizio è gravemente compromesso e sospeso nel caso in cui il non obiettore vada in ferie, in malattia o in pensione. Le relazioni annuali del ministero della salute disegnano una curva pericolosamente in salita in questi ultimi anni, fino ad arrivare alla media nazionale che sfiora il 75% di ginecologi obiettori di coscienza, con punte di oltre l’80 in alcune regioni (Relazione sull’interruzione volontaria di gravidanza, 2006-2007, in particolare si veda la Tabella 28)

    Se Sophie LM Strickland, autrice del paper, manifesta una certa preoccupazione per la garanzia dei servizi per il prossimo futuro, da noi insomma siamo già in piena emergenza. La sua conclusione può servirci come monito e occasione di riflessione: se i partecipanti al questionario, una volta diventati medici, seguiranno la propria coscienza rifiutandosi di eseguire alcune pratiche mediche, potrebbe diventare impossibile per gli obiettori di coscienza trovare posto nell’ambito medico (e, d’altra parte, se vi trovassero posto l’efficienza del servizio ne risulterebbe minacciato: l’esempio dell’Italia trasforma quel condizionale in un indicativo presente).

    In effetti l’aspetto più interessante del report sta proprio qui: mettere in luce il terreno estremamente franoso che circonda l’obiezione di coscienza e sottolineare la pericolosa miopia per le conseguenze del ricorso massiccio a una nostra visione del mondo in contrasto con la nostra professione. Una professione, quella medica, che rischia di essere messa sotto scacco da ostacoli morali e religiosi. A pagare lo scacco, ovviamente, sono i pazienti che si vedono rifiutare un servizio in nome di una coscienza invadente e priva di confini. Se si ammette l’obiezione sull’interruzione di gravidanza, perché non dovremmo ammettere la stessa possibilità per una estrazione dentale oppure per una trasfusione? Che strumenti abbiamo per distinguere una rivendicazione di coscienza legittima da una illegittima? Se gli appartenenti a una certa cultura, per esempio, hanno facilità a comprendere le ragioni del rifiuto a eseguire aborti, altri avranno una visione diversa e magari considereranno altrettanto ovvio rifiutarsi di prendere in carico un paziente ubriaco. Che ne è della uguaglianza dei trattamenti e del diritto alla cura? Nonché del dovere del medico? Questo report ci suggerisce l’urgenza e la necessità di un dibattito sui doveri professionali in generale e su quelli dei medici in particolare.

    Sarebbe anche interessante indagare la consapevolezza, da parte di questi futuri medici e di quanti risponderebbero in modo analogo, degli effetti della loro coscienza. Gli effetti dell’obiezione di coscienza sono principalmente due: l’incertezza della garanzia del servizio e l’estrema eterogeneità dei trattamenti sanitari. Seguono ingiustizia e discriminazione.

    Particolare troppo spesso dimenticato: si sceglie liberamente di studiare medicina e di specializzarsi in ginecologia o in anestesiologia. Ogni scelta dovrebbe avere delle conseguenze, ogni lavoro ha degli obblighi professionali: sarebbe lecito che un avvocato d’ufficio si rifiutasse di difendere uno stupratore? Sarebbe ammissibile che un guidatore di autobus impedisse a una donna afroamericana di sedersi?

    Non sono solo i medici a ritrovarsi di fronte a situazione emotivamente e moralmente faticose. Esistono poi specializzazioni che presentano risvolti morali meno controversi dell’interruzione di gravidanza e delle tecniche di riproduzione artificiale (controversia morale che è indissolubilmente legata alla coscienza e che appare insensato considerare monolitca in una prospettiva pluralitica, quale dovrebbe essere quella degli stati liberali e democratici). Anche se comincia a essere in dubbio anche questo, considerando che tra le possibili ragioni della obiezione di coscienza troviamo anche una visita alle zone intime di un paziente del sesso diverso da quello del medico. Non dimentichiamo il caso riportato da Arthur Caplan: un medico che si rifiutò di eseguire una lastra ai genitali di un paziente, morto poi di cancro ai testicoli.

    L’obiezione di coscienza è quasi sempre presentata come una scelta nobile e come la manifestazione della nostra libertà personale. Ma invece l’odierna obiezione in campo medico sembra avere le fattezze di un odioso privilegio. Una scelta di comodo per chi vorrebbe ritornare a quei tempi che furono, in cui i medici decidevano se e come curare e non erano tenuti a dare spiegazioni: si chiamava paternalismo e segnava una insopportabile disparità tra il medico e il paziente. Padrone, il primo, della vita di entrambi.

    3 Commenti

    1. Già se l’articolo 9 fosse applicato, la situazione italiana sarebbe meno oscena di com’è.

      Legge 194/1978.
      9. Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non e’ tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione. La dichiarazione dell’obiettore deve essere comunicata al medico provinciale e, nel caso di personale dipendente dello ospedale o dalla casa di cura, anche al direttore sanitario, entro un mese dall’entrata in vigore della presente legge o dal conseguimento della abilitazione o dall’assunzione presso un ente tenuto a fornire prestazioni dirette alla interruzione della gravidanza o dalla stipulazione di una convenzione con enti previdenziali che comporti l’esecuzione di tali prestazioni. L’obiezione può sempre essere revocata o venire proposta anche al di fuori dei termini di cui al precedente comma, ma in tale caso la dichiarazione produce effetto dopo un mese dalla sua presentazione al medico provinciale.
      L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attivita’ ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attivita’ specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento. Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare lo espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalita’ previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilita’ del personale.
      L’obiezione di coscienza non puo’ essere invocata dal personale sanitario, ed esercente le attivita’ ausiliarie quando, data la particolarita’ delle circostanze, il loro personale intervento e’ indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo. L’obiezione di coscienza si intende revocata, con effetto, immediato, se chi l’ha sollevata prende parte a procedure o a interventi per l’interruzione della gravidanza previsti dalla presente legge, al di fuori dei casi di cui al comma precedente.

    2. Concordo su tutto e ho una posizione anche più intransigente. L’obiezione di coscienza aveva un senso quando è stata introdotta la legge sull’aborto: se qualcuno che già faceva il ginecologo aveva dei problemi morali con l’aborto, poteva dichiararsi obiettore.
      Ma la maggior parte dei medici ginecologi, oggi, andavano al liceo, quando è stata approvata la legge sull’aborto. Se oggi una persona è contraria all’aborto, si scelga un’altra specializzazione o addirittura un altro mestiere.
      O si apra uno studio privato. O vada a lavorare in un ospedale della chiesa cattolica (che, ovviamente, se non è disposto a fare tutte le procedure mediche previste dalla legge italiana, non prenderà finanziamenti dallo stato….)

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