Categorie: Salute

Un gene della calvizie aumenta il rischio di Covid-19?

Lo sappiamo fin dall’inizio della pandemia: sulla base dei dati raccolti finora gli uomini sono più a rischio di sviluppare forme gravi di Covid-19. Le ipotesi formulate per spiegare il fenomeno sono varie ma non c’è ancora alcuna certezza. Oggi un gruppo di ricerca statunitense, guidato da Andy Goren, ha identificato un nuovo meccanismo genetico che potrebbe contribuire, a detta dei ricercatori, a rendere il sesso maschile più vulnerabile al coronavirus. Lo studio, presentato al meeting dell’European Academy of Dermatology and Venereology, indica che gli uomini colpiti dall’alopecia androgenetica, ovvero la calvizie, erano più spesso ricoverati per forme di Covid-19 più gravi.

Il nodo di contatto fra calvizie e Covid-19

A partire da questa osservazione i ricercatori del gruppo Applied Biology, in California, si sono chiesti se la genetica della calvizie possa avere un collegamento con Covid. Il nodo di contatto fra calvizie e Covid-19 sarebbe un gene collegato agli androgeni, ormoni maschili. Questo gene, in sigla Ar, è alla base della sintesi di una proteina chiamata recettore degli androgeni (Ar, appunto) ed è responsabile della calvizie in alcuni uomini. Alcune varianti di questo gene, infatti, molto diffuse nella popolazione maschile, possono portare alla calvizie. Ma l’anello di collegamento con il Sars-Cov-2 si troverebbe secondo gli autori nel fatto che una delle due principali proteine che favoriscono l’ingresso del virus nelle cellule e la sua diffusione nell’organismo, la proteina Tmprss2 (l’altra è Ace2sensibile e dunque risponde anche all’attività degli androgeni. Questo fa ragionevolmente pensare che il gene AR del recettore degli androgeni possa avere un qualche impatto anche su questa proteina che fa entrare Sars-Cov-2.

Lo studio su 65 pazienti

L’ipotesi, dunque, è che la proteina Tmprss2 sia un anello di congiunzione fra l’alterazione genetica che porta alla calvizie e Covid-19. Questa ipotesi è stata confermata in un primo studio genetico condotto per ora su un campione ristretto di 65 pazienti ricoverati per Covid-19. Gli uomini con specifiche differenze strutturali del gene Ar erano maggiormente colpiti e soggetti a sintomi più rilevanti. In particolare, una parte (un segmento) chiave del gene Ar è risultata collegata a una maggiore probabilità di manifestare Covid-19 più grave. “Fra gli uomini ricoverati con Covid-19, il 79% aveva l’alopecia androgenetica”, ha sottolineato Andy Goren, indicando che questa percentuale dell’incidenza media dell’alopecia è molto più alta rispetto a quella della popolazione maschile della stessa età, che va dal 31 al 53%.

Una prima prova da approfondire

Ancora l’analisi è piuttosto ristretta e da confermare ma l’autore Goren spiega che questo test “potrebbe essere utilizzato come biomarcatore per identificare gli uomini più a rischio di entrare in terapia intensiva”. Il risultato, secondo Goren, fornisce un’altra prova del ruolo degli ormoni maschili nell’infezione da coronavirus e una spiegazione del perché gli uomini sono più vulnerabili.

La dottoressa Teresa Murray Amato, a capo della medicina d’emergenza all’ospedale Long Island Jewish Forest Hills, a New York, non coinvolta nella ricerca, ha detto di avere notato una correlazione significativa fra un alto livello dei recettori degli androgeni e una maggiore incidenza dei ricoveri in terapia intensiva fra i malati di Covid. Ancora siamo nell’ambito delle osservazioni, ma potrebbe essere un aspetto da studiare. “Anche se la ricerca è piccola e l’esatta associazione non è ancora compresa in maniera esaustiva”, ha commentato Amato riferendosi allo studio citato, “può fornire una delle risposte sul perché gli uomini sono più a rischio di finire in terapia intensiva e hanno una mortalità complessiva per Covid-19 più elevata”. Secondo l’esperta bisognerebbe approfondire lo studio per capire se un trattamento che blocchi i recettori degli androgeni possa essere utile nei pazienti con Covid-19 che mostrano questa alterazione.

Via: Wired.it

Credits immaine: msandersmusic via Pixabay

Viola Rita

Giornalista scientifica. Dopo la maturità classica e la laurea in Fisica, dal 2012 si occupa con grande interesse e a tempo pieno di divulgazione e comunicazione scientifica. A Galileo dal 2017, collabora con La Repubblica.it e Mente&Cervello. Nel 2012 ha vinto il premio giornalistico “Riccardo Tomassetti”.

Articoli recenti

Leptospirosi: perché crescono i casi a New York?

Mai così tanti casi di leptospirosi in un anno dal 2001: a contribuire all’aumento delle…

20 ore fa

Fogli d’oro sottilissimi: arriva il goldene

Potrebbe essere usato in diverse applicazioni come catalizzatore per la conversione dell'anidride carbonica e la…

3 giorni fa

Ecco il buco nero stellare più grande della Via Lattea

BH3 è stato individuato grazie alle strane oscillazioni di una stella povera di metalli

4 giorni fa

Inquinamento, un progetto italiano di monitoraggio dallo spazio

Istituto superiore di sanità e Agenzia spaziale italiana hanno sviluppato una tecnologia per monitorare l’inquinamento…

5 giorni fa

L’afantasia, ovvero quando il cervello non sa immaginare

La condizione mentale di chi non è in grado di “visualizzare” mentalmente alcuna immagine. Ed…

5 giorni fa

Il destino della Terra, dopo la morte del Sole

Fra circa 5 miliardi di anni la stella si trasformerà in una gigante rossa e…

1 settimana fa

Questo sito o gli strumenti di terze parti in esso integrati trattano dati personali (es. dati di navigazione o indirizzi IP) e fanno uso di cookie o altri identificatori necessari per il funzionamento e per il raggiungimento delle finalità descritte nella cookie policy.

Leggi di più