C’era una volta un cristallo liquido

È in parte italiana la scoperta di cristalli liquidi formati spontaneamente da molecole di Dna immerse in acqua: un nuovo possibile scenario dell’origine della vita sul nostro pianeta. Lo studio è descritto su Science ed è stato condotto dall’Università del Colorado e dal Laboratorio di fluidi complessi e biofisica molecolare dell’Università di Milano.

I due gruppi di ricerca hanno scoperto che corti segmenti di Dna si assemblano in numerosi distinti cristalli che si auto-orientano parallelamente l’uno all’altro e  si impilano in colonne ordinate, se immerse in una soluzione acquosa. Queste formazioni sono simili ai cristalli liquidi che si trovano nei dispay, così chiamati perché mostrano caratteristiche sia dei solidi sia dei liquidi.

La scoperta ha delle ripercussioni non indifferenti sulle ipotesi della comparsa della vita sulla Terra. Secondo la teoria più largamente condivisa, questa si sarebbe formata a partire dall’organizzazione casuale di molecole di acidi nucleici, Dna e Rna, che portano le informazioni genetiche e che si trovano in tutti gli esseri viventi conosciuti. Anche negli organismi più semplici, però, queste molecole sono molto lunghe  e complesse (milioni di singoli elementi chiamati “nucleotidi” o “basi”, uniti da legami chimici in filamenti, a loro volta assemblati a due a due per formare, nel Dna, una doppia elica). La formazione spontanea di molecole tanto complicate a partire da singole basi selettivamente legate tra loro è uno dei punti da chiarire.

I ricercatori di Milano, guidati da Tommaso Bellini, hanno osservato che tra segmenti molto corti di doppia elica, formati da un minimo di sei a un massimo di 20 basi (della lunghezza di due nonametri), si stabiliscono interazioni di tipo fisico che portano alla formazione di lunghe catene ordinate di più molecole condensate in gocce. Non solo: mescolando Dna in doppia elica (a due filamenti) con frammenti di Dna a singolo filamento, le doppie eliche si mettono “in disparte” per formare i cristalli. L’aggregazione del nano-Dna è quindi possibile solo a partire dalla doppia elica.

L’osservazione è stata condotta con la tecnica della diffrazione a raggi X eseguita presso l’Argonne Advanced Photon Source. “I singoli frammenti mettono a contatto le loro estremità e questo favorisce enormemente la formazione di legami chimici”, spiega Bellini, che continua “Questa scoperta aumenta la nostra conoscenza sulle potenzialità auto-organizzative delle molecole e fornisce nuovi importanti indizi su ciò che potrebbe essere accaduto sulla Terra primordiale”. (t.m.)

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