Che fine hanno fatto i superbatteri indiani?

L’ India ha una nuova minaccia da affrontare. Si chiama superbug Ndm-1, ma non c’entra con le catastrofi digitali di fine millennio. Piuttosto, si tratta di un gene che conferisce resistenza nei confronti degli antibiotici ad alcuni batteri con cui viene accidentalmente in contatto.

Il nome della sequenza di dna incriminata prende origine proprio dalla città di Nuova Delhi (ovvero Nd nell’acronimo) e, per giunta, questo gene nocivo si sarebbe diffuso a causa delle pessime condizioni igieniche di alcuni ospedali. Davvero una cattiva pubblicità per lo stato indiano, che negli ultimi mesi ha cercato di sminuire la gravità del caso per non infangare l’immagine del sistema sanitario nazionale. Tuttavia, alcuni studi privati stanno dimostrando che la situazione non va affatto presa alla leggera.

Infatti, l’arma conferita dal superbug ai batteri è una metallo-β-lattamasi (Mbl), ovvero un enzima scoperto nel 2008 capace di denaturare una vasta gamma di antibiotici comunemente utilizzati in medicina. In origine, il gene che innesca la produzione di Mbl è situato su un plasmide (una porzione isolata del genoma) che può essere facilmente trasmesso da un batterio all’altro. Immaginatevi i guai che possono crearsi quando i batteri resistenti si diffondono nelle zone limitrofe agli ospedali attraverso la rete fognaria che veicola le feci di pazienti altamente infetti.

Il caso è esploso recentemente, quando il quotidiano Times of India ha pubblicato i risultati dello studio condotto dall’ospedale privato Sir Ganga Ram di Nuova Delhi. Secondo gli autori della ricerca, il gene per la produzione di Mbl è stato ritrovato in alcuni batteri pericolosi raccolti dal sistema fognario della struttura sanitaria (l’8% di Escherichia coli e il 38% di Klebsiella pneumoniae).

Tuttavia, il governo indiano ha sempre cercato di sminuire il problema. Agli annunci del Sir Ganga Ram, il  ministro della salute di Delhi Ashok Kumar Walia ha risposto irrigidendo i controlli sull’esportazione dei campioni biologici all’esterno del paese. Una decisione che rende assai difficile la collaborazione tra gli scienziati indiani e i colleghi occidentali.

Inoltre il governo ha fatto marcia indietro sulla decisione di sospendere la vendita senza ricetta di antibiotici, sebbene l’uso massiccio di questi prodotti da parte della popolazione favorisca in modo ulteriore la diffusione di batteri resistenti. Una leggerezza che si traduce in una realtà difficile da accettare: secondo il sito di notizie Ibn Live, le infezioni antibiotico-resistenti uccidono ogni anno 60mila neonati indiani.

L’unica speranza arriva dalla conferenza sulla antibiotico-resistenza che si è conclusa il 5 ottobre a Nuova Delhi. In quell’occasione, la comunità scientifica indiana si è espressa a favore della collaborazione a fianco dei colleghi occidentali. Ora non resta che attendere la risposta del governo.

Via Wired.it

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