Categorie: Salute

Coronavirus, potremmo affrettare la produzione del vaccino infettando dei volontari?

Il mondo invoca a gran voce un vaccino contro il nuovo coronavirus Sars-Cov-2. Ne abbiamo bisogno il prima possibile. Ma gli esperti ci dicono che non sarà pronto se non tra uno o due anni, se tutto andrà bene. E che già queste tempistiche hanno quasi del miracoloso, se si pensa che per qualsiasi nuovo farmaco il processo di sviluppo, sperimentazione e approvazione prende su per giù un decennio. Ma davvero non si può fare più in fretta? Secondo alcuni un modo per accorciare i tempi ci sarebbe, solo che forse non è così eticamente accettabile: alcuni scienziati in questi giorni stanno proponendo di saltare alcune fasi della sperimentazione clinica dei potenziali vaccini immunizzando dei volontari e infettandoli deliberatamente con il virus Sars-Cov-2, aprendo un dibattito scientifico e etico che difficilmente troverà soluzione.

La prassi

Molto in sintesi, quando un vaccino completa le fasi di sperimentazione in vitro e negli animali dando sufficienti prove preliminari di sicurezza e un razionale di efficacia, si può passare alla sperimentazione clinica, cioè sulle persone. Anche questa fase del processo di sviluppo è strettamente regolamentata solitamente: si inizia col provare il vaccino su un limitato numero di volontari per stabilire innanzitutto la sicurezza (se non dà effetti collaterali importanti); poi sempre su un poche  persone si passa a verificarne l’efficacia, se fa davvero quello per cui è stato creato, cioè proteggere dal patogeno. Qualora i requisiti siano soddisfatti si passa alla sperimentazione umana su larga scala.

Questa, dunque, la prassi generale (con qualche eccezione), a garanzia di una sperimentazione che viene considerata eticamente corretta. Ma oggi non ci troviamo più in una situazione di normalità: siamo in piena emergenza, assediati da un virus contro cui per ora non abbiamo armi.

In stato di emergenza

All’emergenza si deve rispondere con misure di emergenza, sostiene una parte della comunità scientifica che propone di ripensare i protocolli sperimentali. Così, per esempio, sul Journal of Infectious Diseases alcuni ricercatori propongono di accelerare i tempi della sperimentazione dei vaccini contro Sars-Cov-2, sostituendo la fase 3 dei trial clinici reclutando volontari – pienamente coscienti dei rischi connessi alla sperimentazione (compreso il pericolo di rimetterci la vita, vista l’imprevedibilità del nuovo coronavirus) – da immunizzare e infettare appositamente. Scegliendoli giovani, tra i 18 e i 30 anni, le probabilità di manifestare forme gravi di Covid-19 dovrebbero ridursi – scrivono gli autori dell’articolo – e il rischio sarebbe più accettabile. Rischio che potrebbe essere abbattuto ulteriormente se si utilizzasse un ceppo specifico del nuovo coronavirus, uno che ha dato sintomi lievi di infezione, oppure un virus indebolito in laboratorio o anche una sua replica artificiale modificata appositamente per essere innocua. Forse non sarebbe proprio una soluzione ottimale perché non si saprebbe se il vaccino offre effettiva immunità contro il virus naturale, ma potrebbe essere un buon compromesso per accelerare i tempi.

Troppi dubbi

Il dibattito è già bello acceso. E c’è chi, come Matthew Memoli del National Institute of Allergy and Infectious Diseases statunitense, solleva forti obiezioni alla nuova proposta: troppo poco si sa sul nuovo coronavirus per azzardare un simile passo, quindi come facciamo a capire se il rischio che si chiede di correre ai volontari è davvero ragionevole e accettabile?

Un altro dubbio sollevato dall’esperto è quanto davvero si ridurrebbero i tempi della sperimentazione. Bisognerebbe isolare o creare un patogeno attenuato, sviluppare un protocollo per produrlo in standard di sicurezza adeguati, identificare il dosaggio giusto da somministrare ai volontari. Tutti passaggi che richiedono tempo e che non sono esenti da prove preliminari su animali. A che pro mettere in piedi studi eticamente discutibili quando il loro presunto vantaggio (la rapidità) è già ora contestabile?

Ciò che potrebbe rendere accettabile la proposta sarebbe l’esistenza di un farmaco efficace per contrastare Covid-19. Solo in quel caso, sostengono gli oppositori, il rischio per le persone sarebbe controbilanciato dalla presenza di un paracadute.

Via: Wired.it

Leggi anche su Galileo: Un vaccino per COVID-19: giovani ricercatori italiani in pole position

Credits immagine: CDC on Unsplash

Mara Magistroni

Nata e cresciuta nella “terra di mezzo” tra la grande Milano e il Parco del Ticino, si definisce un’entusiasta ex-biologa alla ricerca della sua vera natura. Dopo il master in comunicazione della scienza presso la Sissa di Trieste, ha collaborato con Fondazione Telethon. Dal 2016 lavora come freelance.

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