Salute

Covid: infettare giovani sani per testare il vaccino ha senso?

Quelli di Edward Jenner erano tempi più semplici. Si poteva infettare il figlio del proprio giardiniere con il vaiolo bovino, attendere che la malattia facesse il suo corso, e poi tornare a infettarlo (o meglio inocularlo) con il vaiolo umano. E ritrovarsi di colpo ad aver inventato una delle più efficaci procedure mediche della storia. Oggi in molti storcerebbero il naso di fronte a un esperimento così spregiudicato. O almeno, lo avrebbero fatto fino allo scorso anno, perché con il pianeta in spasmodica attesa di un vaccino contro Covid 19, c’è chi preme per un ritorno alle origini: perché non infettare un certo numero di volontari, e vedere se i candidati vaccini in fase di sviluppo sono efficaci e sicuri come speriamo? Una proposta controversa che ruota attorno all’advocacy group 1DaySooner, e che nelle ultime settimane continua a guadagnare sponsor illustri: una lettera aperta indirizzata al direttore dell’Nih americano vanta ormai oltre 2mila firme illustri, tra cui quelle di ben 15 premi Nobel. Non tutti nella comunità scientifica, però, concordano né sull’utilità, né sulla leicità, della soluzione.

A guardar bene, quella proposta non è esattamente una novità. La somministrazione di agenti patogeni a volontari sani a fini di ricerca o per testare nuovi farmaci e vaccini è qualcosa che in inglese viene chiamato human challenge trial (o Htc), e si fa da sempre, anche se con regole molto precise, e in situazione abbastanza differenti da quella attuale. Si è fatto con il colera, il tifo, la malaria, e anche l’influenza. Tutte malattie potenzialmente fatali, ma per le quali esistono farmaci e terapie salvavita efficaci e ben tollerate. La differenza, nel caso del coronavirus, è che qui si tratterebbe di un salto nel buio: se qualcosa dovesse andare storto, al momento non ci sono reti di sicurezza, farmaci o terapie.

C’è però chi non si spaventa, ed è disposto a rischiare la propria salute per aiutarci a uscire da questa pandemia. Tutto nasce da due giovani americani, la biologa 22enne Sophie Rose e l’avvocato 38enne Josh Morrison, co-fondatori di 1daysooner, che da mesi reclutano volontari per mettere gli enti regolatori di fronte al fatto compiuto: le cavie consenzienti ci sono, e con il loro aiuto la corsa per il vaccino potrebbe rivelarsi più breve del previsto. Numeri alla mano, 1daysooner e gli esperti che appoggiano l’iniziativa ritengono che i potenziali benefici superino di gran lunga i rischi, tutto sommato remoti se si sceglie con cura la platea di volontari da coinvolgere nelle ricerche. Covid come sappiamo è una malattia che si rivela grave di norma negli strati più deboli e anziani della società. Limitando la partecipazione a giovani in salute, con meno di 30 anni, i rischi di morte legati alla patologia non dovrebbero superare lo 0,03% (3 chance su 10mila) e quelli di sviluppare sintomi abbastanza gravi da meritare un ricovero si fermerebbero a circa l’1%. Abbastanza contenuti da trasformare l’azzardo in una soluzione accettabile.

Come verrebbe portato avanti un trial simile? A descriverlo è un rapporto dell’Oms di giugno: i volontari verrebbero divisi in due gruppi, uno destinato a ricevere il vaccino e uno a cui verrebbe inoculato un placebo. I partecipanti dovrebbero essere giovani (il rapporto suggerisce di utilizzare persone tra i 19 e i 25 anni), in salute, e andrebbero mantenuti in isolamento all’interno di reparti ad alta sicurezza per tutta la durata della sperimentazione. Dopo aver ricevuto il vaccino, e aver atteso qualche giorno per assicurarsi che abbia tempo di fare effetto, tutti i partecipanti verrebbero esposti al virus, e monitorati per verificare la situazione. In questo modo si potrebbero verificare velocemente sicurezza ed efficacia del vaccino, e raccogliere dati preziosi sull’evoluzione clinica di covid in un setting controllato. Non dovendo aspettare che i partecipanti entrino in contatto con il virus per conto loro (come accade in un normale trial per i vaccini) la durata dello studio potrebbe essere molto più breve. E non dovendo fare affidamento sul caso per esporre i partecipanti alla malattia, si potrebbero avere risultati affidabili utilizzando un numero molto ridotto di persone.

Tutto considerato i risparmi di tempo potrebbero essere concreti, seppur piuttosto limitati. Non potendo eliminare completamente gli altri step del processo di approvazione del vaccino, parliamo di settimane, al più pochi mesi, che possono essere guadagnati sulla tabella di marcia. Ma vista la conta dei morti in costante ascesa, per i sostenitori del progetto potrebbe valerne comunque la pena. Da qui il nome dell’iniziativa, che in italiano potremmo tradurre come “anche solo un giorno prima”.

Nonostante i tanti pareri favorevoli, nella comunità scientifica (e non solo) non mancano anche forti dubbi. D’altronde ci siamo sentiti ripetere per mesi che neanche i giovani sono al sicuro da questo coronavirus, e la possibilità di utilizzare vere e proprie cavie umane per accelerare lo sviluppo di un vaccino sembra cozzare con il principio di massima precauzione seguito fin’ora. Se anche il vaccino risultasse efficace e privo di rischi, metà dei partecipanti ad un eventuale trial affronterebbero la malattia protetti solo da un placebo, con il conseguente rischio (minimo ma presente) di decessi e (ben più concreto) di complicazioni e problemi di salute a lungo termine. I rischi inoltre esisterebbero anche per i partecipanti a cui verrebbe inoculato il vaccino, perché la possibilità che questo si riveli efficace nel 100% dei casi è un’eventualità piuttosto remota. Il tutto, senza grandi certezze che uno human challenge trial si riveli realmente in grado di accorciare i tempi per la commercializzazione del vaccino.

Uno degli step più importanti, e time consuming, dei trial per i nuovi vaccini riguarda la raccolta di dati sulla sicurezza. E per avere risultati affidabili servono moltissimi partecipanti, visto che i potenziali effetti collaterali gravi emergono in una percentuale minima dei partecipanti. In questo senso, avere un gruppo di volontari a cui inoculare vaccino e virus non aiuterebbe particolarmente, perché servirebbero comunque studi più ampi per assicurarsi che non esistano pericoli anche in una percentuale molto piccola dei casi. Il vaccino inoltre avrebbe come target principale anziani e malati, le categorie più a rischio per Covid. E sperimentarlo su giovani in salute non fornirebbe dati molto affidabili in questo senso. Il rischio, racconta in un articolo su Stat l’esperto di vaccini Michael Rosenblatt, è che i giovani e ben intenzionati volontari di un eventuale human challenge trial si trovino a rischiare la propria vita per nulla.

Esiste infine un altro problema, che riguarda il fronte della comunicazione. Cosa succederebbe se uno dei giovani volontari di un human challenge trial finisse per ammalarsi gravemente, o ancor peggio per morire? Immaginatevelo: con i novax che continuano a imperversare un po’ ovunque, e la sovrabbondanza di fake news che circolano già ora attorno a questa pandemia, gli effetti di un simile incidente potrebbero rivelarsi devastanti. E rischieremmo di trovarci magari con un vaccino efficace, e ampie fette della popolazione che rifiutano di utilizzarlo.

via Wired.it

Leggi anche: Così procede la ricerca di un vaccino per fermare il coronavirus

Simone Valesini

Giornalista scientifico a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. Laureato in Filosofia della Scienza, collabora con Wired, L'Espresso, Repubblica.it.

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