Quasi 800 milioni di litri dispersi nell’oceano. È questa l’enorme quantità di petrolio riversata nel Golfo del Messico a seguito dell’esplosione della Deepwater Horizon, considerata il più grande disastro petrolifero della storia degli Stati Uniti. E ora, a distanza di 10 anni dalla catastrofe, si stima che l’enorme marea nera di petrolio potrebbe essere stata molto più ampia di quando finora stimato dalle osservazioni satellitari. A dimostrarlo è un nuovo studio pubblicato sulle pagine di Science Advances, secondo cui l’estensione “dell’olio tossico e invisibile” potrebbe essere stata addirittura fino al 30% in più rispetto a quanto creduto. Una scoperta fondamentale per migliorare gli sforzi di ripristino delle aree colpite e per evidenziare i gravi rischi che potrebbero comportare altre future fuoriuscite di petrolio.
Per arrivare a una visione più completa del disastro ambientale, i ricercatori dell’Università di Miami, in collaborazione con le università della Georgia e della Florida, hanno utilizzato una innovativa tecnica di modellazione del trasporto di greggio, in combinazione con i dati provenienti dalle immagini satellitari e i dati di oltre 25mila campionamenti in mare. “Secondo i nostri risultati, la diffusione tossica di petrolio potrebbe essere stata fino al 30% più grande rispetto ai precedenti dati satellitari”, commenta l’autore Igal Berenshtein. “Attualmente, i satelliti forniscono informazioni più rapide e accurate delle posizioni delle chiazze di petrolio. Ma un sversamento di petrolio può estendersi anche nella colonna d’acqua dove le correnti sono separate dalla circolazione superiore”.
Tenendo in considerazione le correnti oceaniche, temperatura e biodegradazione del greggio, i ricercatori hanno osservato che una sostanziosa parte del petrolio riversato in mare è fino ad oggi rimasta invisibile agli occhi dei satelliti, ma tuttavia tossica per gli organismi marini, fino a 1,3 chilometri di profondità. L’impatto ambientale, spiegano i ricercatori, molto più ampio rispetto a quello causato dalla marea nera identificata dai dati satellitari. Il greggio, spiegano i ricercatori, ha raggiunto la piattaforma continentale della Florida occidentale, le coste del Texas, e delle isole Florida Keys. “Il danno ambientale si estende sostanzialmente oltre quanto precedentemente stimato sia nello spazio che nel tempo”, spiega la co-autrice Claire Paris-Limouzy, dell’Università di Miami. “L’impatto sulla vita marina è stato, ed è ancora, più grande del previsto”.
Riferimenti: Science Advances
Credit immagine di copertina: US Coast Guard
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