Italia, export da record

    Chi pensava che sarebbe bastato il cambio di governo per abbattere l’export italiano di armi dovrà ricredersi. Nonostante l’impegno della maggioranza a un controllo più stringente, le aspettative sono state tradite. E non di poco. L’esportazione di bombe, siluri e altri marchingegni militari ha fatto registrare nel 2006 cifre record, come non succedeva da circa vent’anni: più di 2,19 miliardi di euro il valore delle autorizzazioni all’esportazione, con un’impennata del 61 per cento rispetto al 2005 (quando erano ferme a 1,36 miliardi), e quasi un miliardo di euro il valore delle consegne effettuate. Sono i primi dati del preliminare Rapporto della Presidenza del Consiglio reso noto il 4 aprile scorso. Che, oltre a tracciare un quadro inquietante, ha anche suscitato diverse polemiche sulla trasparenza. In base alla legge 185 del 1990, infatti, che più volte in passato ha rischiato di essere modificata (Un solo timbro per l’export), il Governo ha l’obbligo di rendere nota in Parlamento l’intera Relazione sull’export di armi, dalla quale deve possibile desumere in dettaglio i paesi importatori, i valori dei contratti, i tipi di armamenti venduti.

    A guidare la frotta delle esportatrici troviamo le solite note: l’Agusta, con 810 milioni di euro, seguita da Alenia, Oto Melara, Avio, Lital, Selex, Aermacchi, Alcatel Alenia e Iveco. Delle prime dieci, sette fanno parte di Finmeccanica, di cui lo Stato è principale azionista. In cima alla classifica degli importatori troviamo gli Stati Uniti, che solo con l’acquisto degli elicotteri presidenziali Agusta copre il 38 per cento delle vendite per un valore di 810 milioni di euro. Seguono gli Emirati Arabi, che sono stati autorizzati ad acquistare dall’Italia caccia, siluri, razzi, missili, navi da guerra, apparecchiature per la direzione del tiro e altri accessori per oltre 338 milioni di euro.

    Se da un lato la maggior parte delle autorizzazioni all’esportazione riguardano i paesi dell’Unione Europea e della Nato, è pur vero che le consegne effettuate verso i paesi non membri di queste realtà superano il 44,2 per cento. Più del 20 per cento dei sistemi d’arma finisce in Medio Oriente e in Africa settentrionale, per un valore totale di più di 442 milioni di euro. Ma anche in Nigeria, dove arrivano armi per 74,4 milioni di euro, in India per 66,3 milioni, in Pakistan per oltre 39 milioni.

    La forte crescita delle spese militari e la vendita di armamenti e armi di piccolo taglio nei paesi in via di sviluppo ha subito negli ultimi dieci anni un’impennata, destando molte preoccupazioni alla luce dei conflitti interni ai singoli paesi (Piccole armi crescono, Corsa senza fine, Warfare State) e facendo moltiplicare le richieste di un trattato internazionale per una maggiore tracciabilità e trasparenza delle esportazione, come quella della campagna Control Arms promossa da Amnesty, Oxfam e Rete internazionale di azione sulle armi leggere (Fucili sotto controllo, Armi senza confini).

    Il ponte di tutte queste operazioni sono ancora gli sportelli bancari. Il Ministero delle Finanze ha rilasciato il 6 per cento in più di autorizzazioni di pagamenti, con un incremento che va dai 1,125 milioni di euro ai quasi 1500, circa il 32 per cento in più rispetto al 2005 (Ecco i conti delle bombe). Se emerge la discesa delle autorizzazioni di Banca di Roma (da 133 a 36 milioni di euro), conferma il suo primato negativo anche quest’anno San Paolo-Imi, che ha visto triplicare il suo volume d’affari passando dai 164 milioni di pagamenti ricevuti nel 2005 a più di 446 milioni nel 2006. Seguono Bnp-Paribas, con un flusso di denaro di oltre 290 milioni di euro, Unicredit, con oltre 86 milioni, Banca nazionale del lavoro (Bnl) a quota 80,3 milioni (33 per cento in più il volume d’affari), Deutsche Bank (78,3 milioni di euro) e Banco di Brescia con incassi per più di 70 milioni. Cresce anche il giro di affari di Banca popolare italiana, che passa da 14 a 60 milioni di euro e quello di Banca Intesa, che dopo la ‘timida’ partecipazione nel 2005 con incassi pari a 163 mila euro, ora sull’onda della fusione sembra mettersi in linea con l’altra big San Paolo, facendo registrare ben 46 milioni di euro.

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