Fragile Romania

Dell’alluvione che ha colpito la Romania a metà luglio, nel nostro paese si è parlato poco. Qualche immagini televisiva e brevi notizie sulla stampa. Eppure la comunità romena, con circa un milione di persone, è la presenza straniera più numerosa in Italia. A chi di loro cercava disperatamente in quei giorni di capire la reale entità dell’accaduto, non restavano che i racconti di parenti e amici fortunosamente contattati al telefono. E non erano parole rassicuranti.

La peggiore inondazione degli ultimi cinquant’anni ha lasciato un bilancio di venti morti, 14.000 persone evacuate, più di 10.000 case inondate e più di 500 completamente distrutte, 33 tonnellate di animali morti. Mezzo miliardo di euro la stima dei danni. In Moldavia, lo straripamento del fiume Siret, che ha raggiunto i 5.000 metri cubi d’acqua al secondo, rispetto alla normale portata di 200, ha provocato l’allagamento di centinaia di località e isolato dal resto del paese l’intera regione. I disagi che ne sono conseguiti non sono una novità per gli abitanti della Romania.

Dall’inizio dell’anno 33 delle 42 regioni che compongono il paese balcanico sono state inondate (ad aprile era toccato al Banato, a ovest, con danni gravissimi) 140.000 ettari di terreno agricolo sono stati coperti dalle acque e più di 1.000 ponti sono crollati. Il primo ministro Calin Popescu Tariceanu ha annunciato l’avvio di indagini per individuare eventuali responsabilità umane che abbiano contribuito a rendere l’evento naturale così catastrofico.

Il dito è puntato contro i lavori idrotecnici di prevenzione, le costruzioni abusive, il taglio massiccio delle foreste, una pratica molto diffusa in Romania e da tempo denunciata dalla associazioni ambientaliste internazionali. Contro il disboscamento indiscriminato che da anni colpisce quella piccola parte di territorio (il 25 per cento) occupato dalle foreste, in Romania si è fatto ben poco. E gli alberi si continuano a tagliare intorno alle città per costruire le case, mentre in montagna per vendere il legname. A chi? All’Italia, per esempio, che dal 1990 al 2001 ha visto crescere le importazioni di legname romeno da 10 a 83 milioni di dollari, diventando il principale partner commerciale in questo settore del paese balcanico.

Una legge del 2001, che prevedeva la possibilità di tagliare alberi senza doverne ripiantare altri ha avuto, è vero, vita breve, ma ha provocato la perdita di 2000 metri quadrati di foreste. Qualche mese più tardi il tetto massimo di superficie di proprietà da disboscare veniva fissato al 5 per cento, e la deforestazione prendeva la strada dell’illegalità (con tanto di “mafia del legno” e ditte fantasma, come riportato dalla stampa romena).

Ma quanto può avere inciso tutto questo sul disastro dei giorni scorsi? “Se la vegetazione che è la componente biotica del sistema, e che serve a mantenere in equilibrio la componente abiotica, viene in qualche modo compromessa, ci saranno necessariamente delle conseguenze”, ha risposto Giuseppe Mastronuzzi, geomorfologo dell’Università di Bari. E quello della Romania sembrerebbe il tipico caso in cui fatti naturali possono essere amplificati da condizionamenti antropici.

“Se si disbosca a monte”, continua Mastronuzzi, “l’acqua arriverà a valle con una potenza maggiore, erodendo una maggiore quantità di terra. I tempi di permanenza dell’acqua saranno più prolungati con difficoltà di evapotraspirazione. La gestione del fenomeno alluvionale diventa così ancora più difficile”. Ecco perché qualsiasi opera andrebbe avviata pensando ai tempi di ritorno degli eventi. Come? “Sarebbe indispensabile dotarsi di una carta geomorfologia, di una carta delle pendenze, una carta della vegetazione, una carta dell’uso del suolo”, conclude il geomorfologo. “E poi coordinare tutti i dati ricavati da questi studi e utilizzarli per pianificare con oculatezza gli interventi sul territorio”.

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