Salute

Covid-19: l’immunità di gregge con omicron è possibile?

Dall’inizio della pandemia l’immunità di gregge è stata vista non di rado come un “traguardo” da raggiungere, un miraggio cui tendere, nella speranza, se non di liberarsi da Covid-19, almeno di iniziare a convivere in una forma meno emergenziale. L’immunità di gregge o di gruppo indica la protezione da una malattia infettiva a livello di comunità, data dal fatto che la maggior parte delle persone sono protette dalla vaccinazione o da una risposta immunitaria dopo aver acquisito l’infezione

Semplificando questo significherebbe che più persone sono immuni, meno circolazione virale si ha e maggiore è la protezione, anche per i più deboli e per chi non si può vaccinare. L’idea di un’immunità di gruppo ha cominciato a circolare e far discutere da subito per Covid-19, già quando, allo scoppio della pandemia, nel Regno Unito era stata citata come strumento per combattere il virus sul lungo termine (anche se il messaggio era stato, si disse, mal interpretato). Oggi, a distanza di quasi due anni, l’idea dell’immunità di gruppo torna a tratti a farsi strada, specialmente con l’arrivo della variante omicron, a rapidissima diffusione. È un traguardo a cui mirare? Se sì, a che costo? E soprattutto, è realistico per il coronavirus?

Immunità di gruppo e omicron

Di immunità di gregge, nei giorni scorsi, ha parlato in un intervento televisivo Matteo Bassetti, direttore della Clinica di malattie infettive all’ospedale San Martino di Genova, stimando che per la primavera circa il 95% degli italiani avrebbero sviluppato immunità al virus, o da vaccinazione o per infezione. Una quota, a detta di Bassetti, che auspicabilmente dovrebbe almeno metterci al riparo dalle forme gravi. Ma anche in Israele si è tornato a parlare di immunità di gregge in seguito all’ondata di omicron, anche se più come un miraggio in cui sperare come un traguardo realistico ma costoso, in termini di salute, scrive la Bbc citando esperti locali. 

Se guardiamo alle infezioni e non alle vaccinazioni, il rischio è lo sviluppo di complicanze nei malati, anche ammettendo una minor patogenecità della variante omicron. È per questo che l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sostiene la strategia di immunità di gruppo solo ammettendo che venga perseguita in modo sicuro, ovvero attraverso le vaccinazioni

Ma questo non è l’unico problema quando si parla di immunità di gruppo: far correre, intenzionalmente o meno, il virus e le vaccinazioni non può essere garanzia di immunità a livello di comunità. E per diversi motivi quando si parla di coronavirus. In primis: sappiamo quante persone, in percentuale, dovrebbero contrarre il virus (ed esporsi ai rischi) o essere vaccinate per poter parlare di immunità di gregge?

Quando si raggiunge l’immunità di gregge?

Al riguardo, nel corso della pandemia (sempre ammesso che si possa raggiungerla), sono state snocciolate percentuali variabilissime: dal 60% al 70%, al 90%, fino al 95% citato da Bassetti. Ma come diceva già tempo fa l’Oms, e come ribadiscono gli European center for disease prevention and control (Ecdc) ancora oggi non sappiamo quanti debbano essere i vaccinati per ottenere un’immunità di gruppo, e non è nemmeno chiaro se sarà possibile: “Dipenderà in gran parte dall’efficacia dei nuovi vaccini nel ridurre la trasmissione di Sars-CoV-2”. 

A riguardo sappiamo che i vaccini oggi disponibili non sono sterilizzanti, ovvero non impediscono la trasmissione del virus e non assicurano una protezione totale dall’infezione (che viene in buona parte ripristinata dalla dose booster, per questo fondamentale nella lotta alla variante omicron). È per questo che il gruppo di esperti sui vaccini dell’Oms ha appena dichiarato che se con gli attuali vaccini lo scopo rimane la protezione dalla malattia e dalle ospedalizzazioni, a quelli in via di sviluppo si chiede anche di prevenire l’infezione e la trasmissione, tenendo conto dell’emergenza di altre possibili varianti (per esempio tramite lo sviluppo di vaccini multivalenti o di un vaccino pan-coronavirus, contro più versioni del virus e dunque a prova di varianti).


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Un traguardo impossibile?

Ma il discorso sulle percentuali traballa anche sotto altri punti di vista, ricordano sul Guardian Erin Mordecai e Mallory Harris della Stanford University, esperti di biologia e malattie infettive, rispettivamente professore e dottoranda. Le percentuali relative all’immunità di gregge sono mobili, scrivono, perché dipendono tanto dalle caratteristiche di trasmissione del patogeno (che muta) e dai comportamenti della popolazione (più o meno densa, più o meno interagente). Maggiori sono entrambi, più elevate sono le percentuali richieste quando si parla di immunità di gregge. Ammettendo che gli immuni lo siano davvero, continuano, ovvero che una volta vaccinati o guariti non si reinfettino. Oggi sappiamo che invece è possibile che un vaccino contragga ancora Covid-19, tanto più con omicron, che corre veloce anche tra popolazioni altamente vaccinate o con infezioni pregresse.

Probabilmente, scrivono, non raggiungeremo mai l’immunità di gregge, ma questo non significa che puntare a immunizzare con i vaccini la popolazione non sia fondamentale, per ridurre i rischi di malattia grave e anche quelli di trasmissione dell’infezione (anche con vaccini non perfettamente sterilizzanti), per prepararsi a una fase auspicabilmente meno drammatica di convivenza con il virus, una volta endemico.

Le altre perplessità sull’immunità di gruppo

Le critiche o le perplessità mosse all’immunità di gregge come miraggio non finiscono qua però. Come evidenziato già da tempo, i dubbi sulla durata dell’immunità (ridotta) data da vaccini e infezioni a causa di varianti immunoevasive e l’inaccessibilità per tutta la popolazione dei vaccini (è il caso ancora dei bambini più piccoli) rappresentano altri ostacoli al suo eventuale raggiungimento. 

Ma non solo: la continua disparità nella distribuzione dei vaccini nel mondo – a oggi meno del 10% delle popolazioni nei paesi a basso reddito ha ricevuto la prima dose di un vaccino, contro una media globale che sfiora il 60% (dati Ourworldindata.org) – ne è un altro importante. Più che puntare all’immunità di gruppo come a un punto di svolta della pandemia per eliminare la trasmissione del virus, scrivevano pochi mesi fa gli epidemiologi della John Hopkins University Gypsyamber D’Souza e David Dowdy, gli obiettivi dovrebbe essere altri. Forse sarebbe auspicabile mirare a rendere immuni (ma in generale a proteggere, anche con altri interventi) quante più persone possibili con gli strumenti disponibili, nell’intento di rendere il peso – soprattutto in termini di complicazioni e morti, ma anche di long Covid – delle infezioni il più lieve possibile e il più gestibile possibile.

Via: Wired.it

Credits immagine: Parastoo Maleki on Unsplash

Anna Lisa Bonfranceschi

Giornalista scientifica, a Galileo Giornale di Scienza dal 2010. È laureata in Biologia Molecolare e Cellulare e oggi collabora principalmente con Wired e La Repubblica.

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