Inquinamento chimico e tumore al seno: molto più di un’ipotesi

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I dati forniti dall’Istituto Nazionale di Statistica non lasciano dubbi: il tumore al seno costituisce la principale causa di morte per cancro nelle donne. Storia familiare, età, etnia, stile di vita, esperienza mestruale e riproduttiva rappresentano fattori di rischio comprovati che predispongono, da soli o unitamente, all’insorgenza della patologia neoplastica. Tuttavia, di recente, alcuni studi suggeriscono un ruolo anche per l’esposizione agli agenti chimici dispersi nell’ambiente, identificandola come nuovo potenziale fattore di rischio. Ma quanto la componente ambientale è in grado di incidere sulla comparsa della neoplasia?

Inquinamento: gli effetti cancerogeni

Il biomonitoraggio effettuato attraverso la misurazione dei livelli delle sostanze chimiche ambientali nel sangue e nelle urine delle pazienti ha rilevato una maggiore presenza di idrocarburi policiclici aromatici (PAH), parabeni, policlorobifenili (PCB) e diossina (TCDD), tutti composti derivanti da diversi processi di produzione e combustione, capaci di penetrare nell’organismo attraverso l’ingestione di acqua e cibo contaminato, l’inalazione di aria inquinata e l’assorbimento attraverso la cute. La cancerogenicità di molti di questi composti chimici ambientali – ovvero la capacità di favorire l’insorgenza del tumore al seno – è legata, in maniera più o meno riconosciuta, alla loro possibilità di agire come interferenti endocrini (Endocrine Disrupting Compounds – EDC), il cui coinvolgimento nello sviluppo della neoplasia mammaria è ampiamente accettato, mimandone o alterandone gli effetti sull’organismo.

Cancro al seno, la variabilità del rischio

La tossicità di tali agenti chimici dipende, in gran parte, dalla loro dose (o concentrazione) e dal tempo di esposizione. Alcuni composti, in particolare i PCB, possono essere immagazzinati e conservati nel tessuto adiposo per lungo tempo e determinare conseguenze cliniche rilevabili solo a distanza di decenni rispetto al momento dell’esposizione chimica iniziale. A definirne la tossicità è anche la suscettibilità individuale, che può variare in relazione all’età. Se, infatti, nessuna associazione tra l’esposizione a DTT o PCB e un incremento del rischio di tumore al seno è stata rilevata nella popolazione generale, un’analisi dettagliata di specifici gruppi di popolazione selezionati in base all’età (giovane/anziana, madre/donna senza figli, età fertile/menopausa) può rivelare il contrario. Lo sviluppo del seno, infatti, comincia nel grembo materno e prosegue dopo la nascita attraverso la pubertà, subendo molti cambiamenti nel corso di gravidanza, allattamento e menopausa. Alcuni studi suggeriscono che il seno in via di sviluppo sia più suscettibile ai danni da esposizione a sostanze chimiche ambientali rispetto ai seni maturi. Pertanto, l’esposizione precoce ad alcuni agenti chimici potrebbe essere in grado di influenzare il rischio di insorgenza del cancro al seno nel corso della vita.

La lezione del caso Seveso

Pensiamo al “caso Seveso”: l’esplosione nel 1976 di un impianto di produzione di triclorofenolo, un componente di diversi diserbanti, ha rilasciato nell’atmosfera della cittadina della Brianza i più elevati livelli di diossina mai conosciuti in popolazioni residenziali umane. Gli effetti sulla salute pubblica non sono tardati ad arrivare: dopo 20 anni di follow-up, oltre a un aumento del rischio di neoplasie del tessuto linfatico ed ematopoietico, un incremento di mortalità per cancro al seno, sebbene statisticamente non significativo, è emerso tra le donne con meno di 55 anni residenti nelle zone individuate tra le più contaminate. I dati provenienti dal Seveso’s Health Study (SWHS) indicano, infatti, una esaustiva correlazione tra i livelli sierici di diossina e il rischio di tumore al seno nelle donne residenti.

Ma ancora non sappiamo tutto

Nonostante le numerose evidenze scientifiche, molto rimane ancora da chiarire sull’associazione tra inquinamento chimico e rischio di cancro al seno. Le metodologie utilizzate per valutare le esposizioni chimiche presentano diversi limiti. In primo luogo, l’esiguità dei dati ricavati dagli studi epidemiologici che necessitano di un gran numero di pazienti e la difficoltà della rilevazione dei casi clinici, la cui manifestazione richiede decenni e si associa, nel tempo, all’esposizione a migliaia di agenti chimici. Inoltre, l’utilizzo dei modelli animali per testare la cancerogenicità di un composto ambientale rende complesso traslarne i risultati nell’essere umano.

Far luce su questa questione resta una delle priorità di chi opera in ambito scientifico, per validare l’esposizione agli inquinanti quale fattore di rischio per il cancro al seno ed ammonire, nel merito, quanti ancora non si occupano di una emergenza oltre che ambientale e sociale, anche prima di tutto sanitaria.

Credit per l’immagine a Leandro Riccini M. via Compfightcc.

1 commento

  1. Dopo aver letto con attenzione l’articolo, si può concludere che alla luce delle conoscenze attuali, non vi sono evidenze che l’esposizione agli inquinanti rappresenti un fattore di rischio per il cancro alla mammella (per cortesia, non parlate di cancro al seno!!!).

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