Salute

Ipnosi contro dolore e ansia: funziona?

Sottoporsi a un intervento chirurgico senza sedazione. Riuscendo a raggiungere uno stato mentale così distaccato dalla realtà e dai sensi da non provare dolore. Per quanto possa sembrare inverosimile, non lo è – anche se ci sono da porre dei caveat, come vedremo tra poco: una paziente 82enne è stata appena operata alla valvola aortica all’ospedale Niguarda di Milano senza subire alcun trattamento di sedazione profonda. Lo staff medico le ha indotto uno stato di ipnosi che, fanno sapere dall’ospedale, ha completamente sostituito ogni tipo di sedazione farmacologica: l’intervento è infatti riuscito alla perfezione, e la paziente ha riferito di non aver sentito alcun fastidio.

Non è neanche la prima volta che accade in Italia: nell’agosto scorso un paziente dell’unità operativa di Neurochirurgia dell’ospedale di Legnano ha subito un intervento chirurgico di craniotomia ed evacuazione di ematoma sottodurale (in sostanza: un’operazione al cervello) ancora una volta aiutato dalla tecnica dell’ipnosi. Notizie che sono lo spunto per una riflessione più approfondita sul tema: l’ipnosi, al netto delle suggestioni da avanspettacolo evocate dal termine, è in realtà una tecnica con basi scientifiche solide e affidabili e dalle grandi potenzialità, che si sta affermando sempre più nella pratica medica, e non solo nel campo chirurgico. Grazie all’ipnosi si riescono a mitigare con buoni risultati, per esempio, i dolori legati al travaglio e i malesseri legati a ansia e depressione.

Il caso Niguarda

Cominciamo approfondendo il caso citato in apertura, con la consulenza di Sandra Nonini, la specialista di Anestesia e rianimazione 3 del Niguarda che ha indotto lo stato di ipnosi nella paziente operata: “Fino a quattro anni fa”, ci ha raccontato, “non sapevo nulla di ipnosi. All’epoca mi trovavo in Francia, e un paziente mi ha chiesto di essere ipnotizzato prima di sottoporsi a una piccola procedura medica. Da allora mi sono interessata alla questione e ho seguito due corsi – più un altro che sto ancora seguendo – che mi hanno permesso di apprendere le tecniche di induzione all’ipnosi e di utilizzarle diverse volte in ambito clinico”.

Fino ad arrivare al caso più eclatante: “Sono stata chiamata in sala operatoria per sedare una paziente che doveva sottoporsi alla sostituzione della valvola aortica. Solitamente questo intervento si effettua in anestesia locale e con la somministrazione di sedativi profondi, che fanno addormentare il paziente. In questo caso le condizioni della donna sconsigliavano la sedazione profonda, che avrebbe potuto comportare dei rischi a livello polmonare: per questo le ho proposto di provare con l’ipnosi”.

La donna avrebbe accettato di buon grado, rispondendo a un’induzione ipnotica, racconta Nonini: “È rimasta seduta sul lettino per oltre un’ora e mezza, sempre monitorata da me e dal resto dell’équipe, e non ha mai lamentato dolore né fastidio. I parametri vitali – pressione, frequenza cardiaca, saturazione – sono rimasti sempre nella norma, dall’inizio alla fine dell’operazione. Alla fine della procedura la signora è emersa dallo stato ipnotico in ottime condizioni generali”. Un successo completo, insomma.

La definizione, e un po’ di storia

Come racconta il New Scientist in uno speciale sull’argomento, la storia dell’ipnosi non è recente. Se ne parlava già in documenti risalenti a 1500 anni prima di Cristo, anche se è stato solo in tempi più vicini, il Diciottesimo secolo, che la pratica ha cominciato a essere presa più in considerazione. Uno dei nomi più noti è quello di Franz Mesmer (donde il termine mesmerizzazione, così caro a Edgar Allan Poe), medico tedesco convinto che l’induzione di uno stato di trance tramite manipolazione magnetica potesse aiutare a curare le malattie e (sic) modificare l’influenza dei pianeti sul fisico umano. Mesmer sarebbe poi stato condannato per frode, ma il concetto dell’ipnosi gli è sopravvissuto e ha guadagnato via via più credibilità, soprattutto quando, nel secolo successivo, il chirurgo scozzese James Braid ha cominciato a indagare sistematicamente i processi fisiologici alla base dello stato di trance.

Il termine ipnosi, oggi, indica un insieme piuttosto vasto di tecniche e approcci: in generale, si può descrivere lo stato di trance ipnotica come “un modo di focalizzare l’attenzione del soggetto su qualcosa di specifico e particolare, in modo da renderlo selettivamente più ricettivo e da fargli perdere l’attenzione su tutto il resto”, ci spiega Angelo Maravita, del dipartimento di Psicologia all’Università di Milano Bicocca ed esperto della Società italiana di neuropsicologia (Sinp), “che effettivamente può essere utilizzato sia in ambito medico/chirurgico, per esempio nei pazienti che si devono sottoporre a procedure minori come prelievi o simili, che in ambito psicoterapeutico, come vera e propria forma di terapia psicologica”.

Come la si induce

In verità, non esiste un vero e proprio metodo standard per ipnotizzare un soggetto. L’approccio più diffuso prescrive di iniziare invitandolo a pensare a un’immagine rilassante, e poi a calarsi in un contesto calmo e armonioso; l’ipnotizzatore, a questo punto, guida con la voce l’ipnotizzando, impartendogli ordini e istruzioni. “L’ipnosi psicoterapica”, dice ancora Maravita, “vista dall’esterno è certamente molto meno scenografica di quella che si vede negli show televisivi, ma è molto efficace dal punto di vista terapeutico. Si tratta sostanzialmente di sedute di dialogo in cui lo specialista parla al paziente con un linguaggio metaforico, immaginifico, per dissociarlo leggermente dalla realtà e portarlo in uno stato a metà tra la trance e il rilassamento. L’ipnosi medica, invece, è più direttiva: in questo caso l’operatore impartisce delle istruzioni per indurre uno stato di dissociazione molto veloce, che porta il soggetto a una concentrazione e a un rilassamento estremi”.

Basta dolore

L’ipnosi è effettivamente molto efficace per il trattamento del dolore. Tanto che, già dal 1992, è stata usata al posto dell’anestesia totale in diverse procedure chirurgiche minori, come biopsie, laparoscopie e interventi di chirurgia plastica: in questi casi, il paziente riceve generalmente un debole anestetico locale e/o una piccola dose di sedativo e il medico lo induce a concentrarsi sulla respirazione e a immaginarsi in uno spazio sicuro, eventualmente facendogli ricordare esperienze positive del passato.

Se la procedura va a buon fine – e in questo se ci sono tutti i caveat di cui parlavamo in apertura: è infatti necessario che il soggetto sia ben predisposto e ricettivo, cosa che non si riscontra in tutti i pazienti –, il cervello è così concentrato da estraniarsi completamente dalla realtà al punto da non sentire più dolore. Senza dover però scontare gli effetti collaterali dell’anestesia generale.

Guy Montgomery, un esperto della Icahn School of Medicine at Mount Sinai di New York, ha studiato per esempio diverse donne sottoposte a ipnosi prima di interventi di mastectomia, scoprendo che dopo l’intervento soffrivano meno dolore, ansia, nausea e fatica. E ha anche cercato di quantificare le ricadute economiche della tecnica, stimando un risparmio per il sistema sanitario di 135 milioni di dollari l’anno se il 90% delle donne che si sottopongono a una biopsia del seno fossero ipnosedate. C’è dell’altro: una review pubblicata nel 2011 ha riconosciuto nell’ipnosi (anche se con qualche riserva) una “tecnica promettente” per il trattamento del dolore da parto; uno studio del 2015 ha svelato che le donne sottoposte a ipnosi durante il travaglio riportano livelli più bassi di ansia e paura rispetto alle altre, sebbene richiedano più o meno la stessa dose di antidolorifici.

Ipnosi e salute mentale

Un altro campo promettente è quello della salute mentale, e in particolare del trattamento dei disturbi dell’ansia. Un’analisi condotta quest’anno da un’équipe di esperti della University of Hatford, in Connecticut, ha quantificato gli effetti dell’ipnosi nella riduzione dell’ansia mettendo insieme diversi studi sul tema, e scoprendo che i pazienti ipnotizzati riportavano, in media, l’84% di miglioramento in più rispetto agli altri. E ancora: due studi, uno condotto negli anni novanta e un altro nel 2018, hanno mostrato che l’integrazione dell’ipnosi alla già consolidata terapia comportamentale raddoppiava le probabilità di successo di perdita di peso. Più incerta invece è la possibilità di usare la tecnica per l’apprendimento o per sbarazzarsi di cattive abitudini: sono stati condotti diversi studi in merito, i cui risultati, ancorché incoraggianti, sono ancora troppo vaghi per poter trarre delle indicazioni definite.

Via: Wired.it

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Credits immagine copertina: geralt via Pixabay

Sandro Iannaccone

Giornalista a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. È laureato in fisica teorica e collabora con le testate La Repubblica, Wired, L’Espresso, D-La Repubblica.

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