Koshik, l’elefante che saluta in coreano

Se le deve essere sentite ripetere talmente tante volte che alla fine ha imparato a pronunciarle. Le parole che Koshik, un elefante asiatico maschio (Elephas maximus) ospite dall’età di tre anni dello zoo di Everland nella Corea del Sud, ripete in perfetto coreano sono: “ciao” (che si pronuncia annyong), “seduto” (anja), “no” (aniya), “a terra” (nuo), “bravo” (choah), (ascoltale: qui e qui).

Cinque espressioni che, a detta dei 16 madrelingua reclutati per valutare l’imitazione del pachiderma, potrebbero essere attribuite senza difficoltà a un essere umano. Eccole qua:

Il timbro è lo stesso e anche il tono. Per ottenere l’uno e l’altro Koshik, che come gli altri esemplari della sua specie si esprimerebbe normalmente a frequenze molto più basse, deve ovviare alle evidenti differenze anatomiche del tratto vocale tra umani ed elefanti. Tutto sommato, non sembra così difficile: basta mettersi la proboscide in bocca e dare fiato. Con le vocali “a”, “o” ed “u” il risultato è quasi perfetto, a tradirlo, semmai, possono essere le consonanti.

Niente male per uno che non può aiutarsi con i movimenti delle labbra, fa notare Angela Stoeger dell’Università di Vienna che, insieme ad altri sei colleghi, ha presentato su Current Biology la straordinaria abilità di Koshik nell’imitare il linguaggio umano. Sentite come fa il verso al suo compagno umano che dice annyong (ciao), il primo a parlare in questa registrazione.

Grazie all’analisi comparativa (Dfa, discriminant function anaysis) delle registrazioni realizzate in Corea, gli scienziati hanno potuto dimostrare che i sospetti del personale dello zoo erano fondati: Koshik gli faceva il verso.

Sì, perché si è visto, o meglio sentito, che i suoni “speciali” dell’elefante coreano sono tanto vicini alla parlata umana, quanto lontani da quelli in uso tra gli altri suoi simili. Nessuno dei 22 elefanti asiatici, maschi e femmine di differenti età, usati come termine di paragone si sono infatti espressi alla maniera di Koshik.

Lo stesso pachiderma, inoltre, cambia registro quando sveste i panni umani e riprende a seguire la natura: i suoi consueti richiami, tipici della specie a cui appartiene, non hanno nulla a che vedere con il modo di comunicare preso in prestito ai veterinari, agli addestratori e ai custodi dello zoo che per sette, dei 22 anni passati in cattività, sono stati la sua unica compagnia. 

Certamente Koshik non può competere per ricchezza di vocabolario né con merli né con pappagalli, ma tra i mammiferi la sua performance spicca su tutte le altre. Casi di animali parlanti si contano sulle dita di una mano, fanno notare con l’orgoglio tipico dei talent scout i ricercatori su Current Biology: c’è Hoover, una foca del Maine che scimmiotta il suo addestratore inglese, c’è il beluga Logosi capace di ripetere il suo nome e un elefante asiatico che millanta, ma non c’è ancora alcuna conferma, di sapere imitare la parlata russa. Anche se potremmo aggiungere alla lista Noc, la balena che mima la voce umana (vedi Galileo: La balena che imita la voce umana), e qualche pachiderma africano capace di riprodurre il suono del motore dei camion, Koshik non sembra avere molti rivali.

Resta da capire il motivo che ha spinto l’elefante coreano ad apprendere la nuova lingua. La risposta è probabilmente, in questo come negli altri casi, sempre la stessa: stringere amicizia con i compagni. E lo zoo di Everland non offriva nulla di meglio di qualche umano.

Riferimenti e credits immagine: Current biology doi 10.1016/j.cub.2012.09.022

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