Leggi razziali: la ferita inferta alla scienza

Durante il fascismo, la politica razzista non fu un ‘atto di ossequio’ nei confronti dell’alleato tedesco. A partire dagli anni Trenta, infatti, la persecuzione antiebraica in Italia si fondò sul concetto di etnia piuttosto che su quello di razza e si attuò attraverso un articolato complesso di norme – le leggi razziali – che esclusero gli ebrei dalla vita sociale e culturale del Paese. Molti dei più brillanti scienziati del tempo furono costretti a emigrare. Tra questi: Enrico Fermi, Emilio Segré, Bruno Rossi, Bruno Pontecorvo, Mario Donati. In occasione del 27 gennaio – Il Giorno della Memoria – Galileo ha parlato del rapporto tra razzismo italiano e scienza con Giorgio Israel docente di Storia delle matematiche all’Università La Sapienza di Roma e autore insieme a Pietro Nastasi di ‘Scienza e razza nell’Italia fascista” (Il Mulino, 1998).

Professor Israel, che tipo di razzismo si manifestò in Italia durante il fascismo? Esistono delle differenze tra il razzismo italiano e quello tedesco?

”Il razzismo del fascismo italiano ebbe caratteristiche specifiche ben diverse da quelle del razzismo nazista. E’, a mio avviso, un tema di importanza centrale, perché si tende ancor oggi a voler far credere che il razzismo fascista non sia esistito, se non come un atto di ossequio all’alleato tedesco, compiuto di malavoglia, se non addirittura a forza, e comunque soltanto a partire dal 1938. Al contrario, il razzismo è stato un tema centrale di tutta la politica fascista e mussoliniana, fin dagli anni Venti, dapprima sotto la forma di politica popolazionista (il numero è forza), e di rigenerazione della razza (eugenica positiva) per creare una razza italica capace di competere con le altre e dominarle, e infine come politica razziale rivolta specificamente contro le popolazioni indigene delle colonie africane italiane e contro gli ebrei in madrepatria. Esiste un filo conduttore in questa politica, anche se è vero che la persecuzione antiebraica prese forma soltanto a partire dalla metà degli anni Trenta. Quanto alle caratteristiche specifiche del razzismo fascista, in sintesi, prese le distanze da quello biologistico tedesco, fondandosi sul concetto di etnia piuttosto che su quello di razza (anche se questo termine fu correntemente usato) e propugnando un atteggiamento “spiritualistico” che era anche più accettabile per i cattolici e la Chiesa (e come tale fu effettivamente accettato). La razza italica non era definita tanto per la purezza di certe caratteristiche biologiche e genetiche, quanto per un complesso di caratteristiche somatiche, culturali, spirituali e persino determinate dal clima, dall’ambiente e dall’alimentazione. Si pretendeva che queste caratteristiche si fossero ormai stabilizzate in una razza italica di elevato livello e di cui era necessario preservare la purezza. Di qui la necessità di proibire matrimoni e mescolanze di sorta (anche culturali e nella vita comune) con ebrei, negri e altri popoli “inferiori”. Queste proibizioni vennero codificate nelle leggi razziali che non furono uno scherzetto fatto per omaggiare Hitler, ma un imponente complesso legislativo che investiva ogni aspetto della vita degli ebrei, isolandoli dal resto della popolazione. Non si propugnava il loro sterminio, ma l’isolamento e la pratica espulsione da ogni aspetto della vita civile, che avrebbe dovuto indurre gli ebrei – anche per la difficoltà di lavorare, se non fra loro – a emigrare. Naturalmente, i soliti giustificazionisti ne hanno tratto spunto per dire che il fascismo “discriminò ma non perseguitò” gli ebrei… Come se essere espulsi dalle scuole, dalle università, dagli uffici pubblici, non poter frequentare certi luoghi ed essere privati del lavoro, se non fra ebrei, e così via, non fosse una persecuzione…”

Quale fu l’atteggiamento di Mussolini nei confronti degli scienziati ebrei? Quali le conseguenze?

“Mussolini non fece manifestazioni di antisemitismo, almeno fino al 1938. Si possono anche citare dichiarazioni in senso favorevole agli ebrei. Ma, dal momento in cui decise di passare dalla fase del “razzismo quantitativo” (la politica popolazionista) alla fase del “razzismo qualitativo”, ovvero la separazione razziale degli ebrei dalla popolazione italiana “pura”, fu inflessibile. Le leggi razziali italiane si rivolsero in primo luogo contro la scuola e l’Università. La loro applicazione fu delegata agli scherani del regime (come Bottai e Buffarini-Guidi) e fece conto – non senza fondamento – sullo zelo che la comunità accademica e culturale di pura razza italica avrebbe posto nel realizzare la pulizia etnica. Invero tale zelo fu talmente acceso – nell’evidente intento di accaparrarsi le cattedre lasciate libere dalla cacciata degli scienziati ebrei – che persino alcuni organi della stampa fascista lo disapprovarono temendo un rapido decadimento dell’università. Di fatto, fu quel che accadde. In alcuni settori – come la matematica, la fisica, la biologia e la medicina – la presenza ebraica era molto elevata e l’espulsione degli scienziati ebrei ebbe conseguenze molto gravi. In particolare, la scuola di fisica italiana, con l’emigrazione di Fermi (la cui moglie era ebrea), di Emilio Segré, di Bruno Rossi, di Bruno Pontecorvo e di molti altri, fu praticamente distrutta e, malgrado i generosi sforzi di Edoardo Amaldi per restituirle dignità nel dopoguerra, non raggiunse mai più il livello precedente. Anche in biologia, la scuola di Giuseppe Levi fu dissolta e, nel campo medico, la perdita di illustri maestri come Mario Donati e Mario Camis ebbe effetti devastanti. Per quanto riguarda l’atteggiamento di Mussolini, al riguardo, egli non diede segno di preoccuparsi delle conseguenze dell’epurazione razziale sulla scienza. E’ probabile che abbia creduto a quegli scienziati che, dando sfoggio di servile adulazione, ripetevano nei discorsi pubblici che il “luminoso cammino ascendente” della scienza italica non si sarebbe fermato a causa della perdita di alcuni “cultori di razza ebraica” (come fu infelicemente detto), e anzi che sarebbe proceduto più speditamente e trionfalmente. Mussolini non era certamente uno sciocco, ma non era neppure uomo capace di riflessioni approfondite e coerenti, come ha ripetutamente notato De Felice: è quindi assai probabile che abbia sottovalutato completamente le conseguenze del colpo inferto alla comunità scientifica con le leggi razziali”.

Per uno scienziato ebreo italiano cosa rappresenta oggi il 27 gennaio?

“Rappresenta soprattutto il ricordo della fine dello sterminio razziale nazista. Ma è simbolicamente anche la fine della vicenda razziale in Italia. Pensando alla scienza italiana, evoca, il ricordo di una ferita inferta alla vita della nazione. Sarebbe sbagliato credere che, essendo trascorso mezzo secolo, la ferita si sia del tutto richiusa. Le tracce sono ancora evidenti. Ad esempio, occorre chiedersi perché tante aule universitarie, istituti e dipartimenti portino il nome di scienziati che erano degli esponenti del regime, spesso tra i più fanatici e talvolta anche fautori della politica razziale o addirittura membri del Consiglio Superiore per la Demografia e la Razza. E ho trovato sorprendenti certe reazioni isteriche da parte di alcuni docenti universitari di fronte alla documentazione che prova la compromissione di alcuni “luminari” nella politica razziale, contenuta nel libro da me scritto in collaborazione con Pietro Nastasi. In verità, la risposta è amaramente semplice. E’ così perché la politica razziale ha cambiato il corso della storia dell’università italiana. Ai docenti ebrei scacciati ne sono succeduti altri che non hanno perso la loro posizione dopo la guerra. Al contrario, hanno approfittato delle posizioni lucrate, hanno piazzato i loro allievi e i docenti ebrei reintegrati si sono trovati entro una geografia ormai mutata. Non vi è mai stata alcuna epurazione dei docenti più compromessi. I loro allievi, riconoscenti per la progressione di carriera ottenuta, si sono fatti zelanti difensori della loro memoria, l’hanno esaltata dedicandole aule, edifici, istituti e biblioteche e, in taluni casi, ancor oggi reagiscono con irritazione di fronte ad ogni tentativo di metterla in discussione. Vorrei, al riguardo, raccontare un aneddoto personale. Mio padre era docente universitario, primo aiuto e principale collaboratore del celebre biologo Giulio Fano. Questi morì pochi anni prima delle leggi razziali e la sua cattedra venne occupata da Sabato Visco, un personaggio privo di valore scientifico, ma di notevole peso politico nel regime, il quale fu poi uno dei firmatari del Manifesto degli Scienziati Razzisti e fu addirittura Capo dell’Ufficio Razza del Ministero della Cultura Popolare. Fu pertanto uno dei principali attori della politica razziale, in particolare nel mondo accademico. Mio padre raccontava delle tirate antisemite che questi gli faceva, seduto alla sua scrivania, roteando un mazzo di chiavi mentre discettava sui difetti e le colpe della “razza ebraica”. Tralascio di parlare delle vicende di mio padre nei suoi rapporti con questo personaggio. Dico soltanto che quando mi iscrissi all’Università scoprii con raccapriccio che il mio libretto universitario era firmato da Sabato Visco, Preside della Facoltà di Scienze dell’Università di Roma, e che scoprii essere ancora un rispettato personaggio, pieno di cariche e di potere, mentre in casa mia era ricordato come l’emblema dell’efferatezza. Ne parlai con un noto accademico di sinistra della Facoltà (diciamo pure, uno dei “pilastri” della sinistra antifascista dell’Università), esprimendogli il mio stupore. Ne ricevetti la seguente risposta: “E’ vero. Ma è tanto bravo a procurare soldi”. Non credo che siano necessari altri commenti, se non che mi tornano in mente le frasi scritte dal noto fisico Franco Rasetti, di recente scomparso, al suo collega Enrico Persico, subito dopo la fine della guerra (e nelle quali l’allusione a personaggi come Visco è trasparente): “Qui come sai abbiamo fatto la repubblica, alla quale io ho dato il mio voto, ma senza farmi troppe illusioni. Il suo primo atto è stata una pazzesca amnistia che rimette in circolazione ladri, spie fasciste, rastrellatori e torturatori, eccetto quelli le cui torture erano “particolarmente efferate” (sic). Viene proprio il rimpianto di non aver fatto, a suo tempo, il torturatore moderatamente efferato. L’epurazione, come forse saprai, si è risolta in una burletta, e fascistoni e firmatari del manifesto della razza rientrano trionfalmente nelle Università. Ma basta ora con questi disgustosi argomenti”.

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