Ma quale Big Bang

Sul numero di aprile di Physics Today, la rivista ufficiale della American Institute of Physics (la più prestigiosa associazione di fisica del mondo), Geoffrey Burbidge, Fred Hoyle e Jayant Narlikar, tre venerabili della cosmologia moderna distruggono pietra su pietra la teoria del Big Bang e la sostituiscono con una teoria quasi-statica. Uno scherzo? Apparentemente no.

I tre fanno la seguente osservazione: nel Big Bang, date le incredibili energie in gioco, le leggi della fisica vengono estrapolate in condizioni estreme. Come conseguenza le condizioni iniziali dell’universo sono soggette a una notevole arbitrarietà, permettendo agli studiosi del campo una agilità di manovra senza precedenti nella storia della scienza. Insomma, con la teoria del Big Bang si può ottenere quello che si vuole, basta cambiare le ipotesi sull’universo nei primi istanti di vita. E, in antitesi col metodo galileiano, nessuno può controllare.

Gli autori non ci stanno, e dichiarano serissimamente: “Non pensiamo che la scienza debba essere fatta in questa maniera. Nella scienza, cosi come noi la intendiamo, si lavora da una situazione iniziale, nota dalle osservazioni o dagli esperimenti, per arrivare a una situazione successiva anch’essa nota. E’ in questa maniera che le leggi della fisica sono testate. Nella forma corrente popolare di cosmologia, di contro, le leggi fisiche sono considerate come note e una spiegazione alle situazioni successive è cercata tentando di i parametri appropriati allo stato iniziale. Noi crediamo che tale approccio non merita l’alta stima che i cosmologi generalmente gli attribuiscono”.

Il punto fatto da Burbidge, Hoyle e Narlikar è che il castello del Big Bang si tiene in piedi in base a due maggiori basi sperimentali, ossia la abbondanza di elio-4 e la radiazione di fondo. E a loro parere, il castello è pericolante. E propongono quanto segue. Con una serie di ipotesi a loro parere più plausibili di quelle contenute nel Big Bang è possibile una spiegazione alternativa, basata sulla produzione locale di materia a opera di eventi di minicreazione. Insomma, all’idea dell’universo in espansione viene sostituita l’idea di un universo quasi-statico che produce materia spontaneamente a livello locale.

Doverosamente, Physics Today riporta la risposta di Andreas Albrecht, altro cosmologo di fama, a UC Davis. Albrecht evidenza una serie di divergenze tra Big Bang e universo quasi-statico, e solleva alcuni dubbi. La risposta tuttavia, per quanto decisa, è inconclusiva, inapace di dimostrare la falsità e l’inammissibilità delle idee blasfeme proposte da Burbidge, Hoyle e Narlikar, rimandando laconicamente a nuovi dati sperimentali che prima o poi decideranno la sopravvivenza di una delle due teorie.

Una cosa risulta chira: la scienza ama contraddire se stessa, come dimostrato dai lavori di Copernico, Planck, Einsetin, de Broglie e via dicendo. Tutto sembra vero e tranquillo, e il mondo sembra catalogato e finalmente chiaro. L’ordine universale regna sublime. A un tratto qualcuno non ci sta e rivoluziona la percezione dell’universo. Ed è proprio per mezzo di queste rivoluzioni che la scienza procede, da quando è nata. Il lavoro Burbidge, Hoyle e Narlikar ci ricorda questa fastidiosa attitudine del pensiero scientifico di contraddirsi è, fortunatamente, sempre presente.

Accettare che la scienza non è un lungo fiume tranquillo, tuttavia, sembra più difficile oggi che in passato. Il positivismo dilaga e il Big Bang è percepito più come la versione riveduta e corretta della Genesi che come una teoria scientifica. Ma la scienza, quella vera, non ha regole, e odia il conformismo. Tre Venerabili hanno appena dato alle fiamme l’ultima versione della Genesi. Pensate che la prossima versione sarà Immortale? Improbabile.

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