Quel poco di Neanderthal che è in noi

    L’Homo neanderthalensis e l’Homo sapiens hanno convissuto in Europa nel pieno dell’ultima glaciazione quaternaria, tra i 40 e i 28 mila anni fa. Si sono incontrati, e forse scontrati, e sono entrati in competizione per le medesime e limitate risorse nonostante le profonde differenze culturali.

    Ma l’enigma che da sempre ha solleticato l’immaginario collettivo e riscaldato i dibattiti scientifici è se gli incontri tra le due specie siano stati anche di natura sessuale. Fino a qualche anno fa i ricercatori, grazie ai dati morfologici dei resti scheletrici, ma soprattutto sulla base delle analisi genetiche sul Dna mitocondriale (un mini-genoma contenuto nei mitocondri, gli organelli presenti nelle cellule), trasmesso per via materna e in cui le mutazioni si accumulano molto rapidamente, erano persuasi che ciò fosse impossibile.

    Ma da qualche anno si è riaperto il dibattito. Il via l’ha dato il “Neanderthal Genome Project” condotto dal biologo molecolare Svante Paabo del Plank Institute for Evolutionary Anthropology di Lipsia, grazie anche allo sviluppo di nuove tecnologie a supporto delle indagini biomolecolari. Questo lavoro ha permesso il sequenziamento del 60% del genoma neandertaliano e il confronto con il Dna moderno, rivelando che Sapiens e Neanderthal hanno in comune tra l’1 e il 4% dei geni.

    Una prova di un avvenuto incrocio, finora escluso, o semplicemente il residuo di uno stesso antenato? Per avere un quadro più chiaro del dibattito in atto abbiamo posto alcune domande a David Caramelli, genetista del dipartimento di Biologia Evoluzionistica dell’Università di Firenze.

    Professore, è realistico pensare all’incrocio tra Neanderthal e Sapiens?

    “In astratto, è possibile. Però ritengo che i dati biomolecolari non provino ancora un effettivo incrocio, dal momento che sono ancora incompleti. Le sequenze genetiche dei neandertaliani si sono ritrovate soltanto nel genoma di uomini moderni euro-asiatici e non in quelli africani, e questa rivelazione non dimostra in modo incontrovertibile l’ibridazione tra le due specie. Il fatto è che le popolazioni africane investigate sono soltanto due, mentre i gruppi etnici sono molto più numerosi e geneticamente più complessi delle popolazioni euro-asiatiche. Inoltre gli africani presentano un’altissima variabilità genetica. Per usare una metafora, se si estinguesse tutto il genere umano, tranne gli africani, si conserverebbe tra l’85 e il 90% di tutta la variabilità del nostro genoma. In poche parole, sebbene non siano stati trovati geni neanderthaliani nei moderni abitanti del continente africano, i dati a nostra disposizione non consentono di escludere che non ve ne siano”.

    Quali altre prove possono porre dei dubbi sull’ipotesi dell’incrocio?

    “In primo luogo, le sequenze del Dna mitocondriale hanno provato che i segmenti esaminati di genoma neandertaliano sono diversi dai nostri. Dunque, se si ipotizza l’incrocio sulla base di questi dati, si dovrebbe supporre che vi sia stato solo tra uomini neanderthaliani e donne Sapiens, in quanto questo tipo di Dna si trasmette per via materna. In secondo luogo, vi sono alcune caratteristiche morfologiche che possono contestare l’incrocio: le dimensioni e la forma del canale del parto, frutto di processo ontogenetico e pressione selettiva che fanno nascere il bambino quando il cervello è ancora piccolo, sono differenti nelle due specie e proporzionali alla grandezza del cranio del nascituro; il volume cranico è maggiore nel Neanderthal rispetto al Sapiens. Questi sono vincoli anatomici che pongono l’accento su eventuali complicazioni che avrebbero potuto generarsi al momento del travaglio”.

    Allora come si può interpretare la percentuale tra l’1 e il 4% di materiale genetico che abbiamo in comune con il Neanderthal?

    “Partiamo dal presupposto che i dati genetici e biomolecolari risolvono il confronto quantitativo tra l’uomo e lo scimpanzé con più del 98% di Dna in comune. Neanderthal e Homo sapiens appartengono allo stesso genere, homo per l’appunto, e pertanto ci si può aspettare che dovranno condividere qualcosa, tra cui inevitabilmente anche materiale genomico. Inoltre anche il Neanderthal ha origine africana, e entrambe le specie derivano dall’ultimo antenato in comune, ossia Homo ergaster, che ha lasciato per primo l’Africa per colonizzare gli altri continenti. Dunque in virtù di questi elementi l’altra spiegazione plausibile è che potrebbe essere stato proprio lui ad aver trasmesso delle sequenze di Dna sia a neandertaliani che a Sapiens.

    Che prove mancano ancora per avere una maggiore certezza?

    “Attualmente è come avere un puzzle di 1000 pezzi, i cui elementi iniziali, fondamentali per la ricostruzione, sono andati persi e che cerchiamo di ritrovare. Le ricerche dovrebbero procedere in due direzioni: acquisire un sequenziamento genetico più completo possibile delle popolazioni africane al fine di rendere il confronto tra i codici genetici di Neanderthal e uomo moderno più dettagliato e preciso; analizzare il genoma di altri Neanderthal, soprattutto dell’Europa meridionale e continentale, e confrontarlo con quello di Sapiens, contemporanei e che abitavano nella stessa regione, in modo da poter evidenziare più facilmente eventuali mescolamenti genomici, più localizzati e puntuali, avvalendosi anche di riscontri da evidenze archeologiche e fossili, a supporto delle indagini biomolecolari”.

    Credit immagine: a erix!

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