Quella sonda non piace ai Verdi

Il prossimo 13 ottobre, dalla stazione di Cape Canaveral, in Florida, prenderà l’avvio una delle più ambiziose missioni scientifiche progettate dalla Nasa. La sonda Cassini-Huygens, realizzata dall’ente americano in collaborazione con l’Esa e l’Agenzia spaziale italiana, decollerà a bordo del vettore Titan IV. Viaggerà per 3.200 milioni di chilometri, prima di raggiungere Saturno e il suo sistema di anelli e satelliti nel 2004. Nei quattro anni successivi percorrerà altri 1.700 milioni di chilometri in orbita, raccogliendo informazioni sul campo magnetico del pianeta, l’atmosfera delle lune e i detriti che costituiscono gli anelli. Il decollo era originariamente previsto per il 6 ottobre, ma un’anomalia a un impianto di raffreddamento rilevata ad agosto ha costretto gli organizzatori a rimandarlo di alcuni giorni.

La missione non convince però gli ambientalisti americani, che hanno manifestato, più volte negli ultimi mesi, contro l’avvio dell’impresa. Il loro timore è che un incidente durante il lancio della sonda provochi la dispersione dei 32 chilogrammi di plutonio alloggiati a bordo. “Per alimentare i sensori e gli strumenti della sonda a tanta distanza dal sole”, rispondono i portavoce della Nasa, “sarebbe necessario un pannello solare di 500 metri quadrati, che renderebbe l’apparecchio troppo pesante per essere lanciato. D’altra parte”, assicurano, “la probabilità di un incidente in fase di decollo è assai ridotta e il plutonio è conservato sotto forma di capsule di materiale ceramico insolubili, resistenti al calore e chimicamente stabili, ciascuna schermata con un guscio di iridio e blocchi di grafite. Anche in caso di esplosione accidentale della sonda, difficilmente il materiale radioattivo si disperderebbe nell’atmosfera provocando una contaminazione”.

Se nonostante le proteste tutto dovesse andare come previsto, dopo il lancio dall’orbita terrestre l’apparecchio si dirigerà verso Venere e le girerà attorno, sfruttando il campo gravitazionale del pianeta come una sorta di fionda per acquistare velocità e prepararsi al lungo viaggio. Passerà di nuovo accanto alla Terra nell’agosto del 1999, a gennaio del 2000 sarà nei pressi di Giove e nel 2004 raggiungerà finalmente il suo obiettivo.

La missione prende il nome dall’astronomo italo-francese Jean Dominique Cassini, che nel diciassettesimo secolo scoprì le lune di Saturno Rhea, Dione e Teti, e dall’astronomo olandese Christiaan Huygens, che studiò gli anelli del pianeta e nel 1655 scoprì il satellite Titano. L’apparecchio è costituito da due parti distinte: il modulo orbitante Cassini, realizzato dalla Nasa, e la sonda Huygens, che dall’orbita di Saturno verrà catapultata verso Titano e raccoglierà dati sull’atmosfera e la superficie del satellite, progettata dall’Agenzia spaziale europea col contributo di quella italiana.

Inviando impulsi radar ed esaminando i segnali riflessi, Cassini traccerà le mappe dei principali satelliti di Saturno. Grazie ad uno strumento di nuova concezione, il Magnetosphere Imaging Instrument, visualizzerà il campo magnetico del pianeta, che si estende anche alle sue lune e intrappola una grande quantità di particelle cariche ad alta energia. Gli anelli di Saturno sono costituiti da frammenti di ghiaccio e roccia, alcuni aggregati a formare piccoli satelliti immersi. Cassini analizzerà la composizione chimica dei detriti e studierà la loro interazione con il campo magnetico.

La sonda Huygens penetrerà nella densa atmosfera di Titano 22 ore dopo essersi sganciata dal modulo orbitante. Durante la discesa, rallentata da un sistema di paracadute, i suoi strumenti misureranno la pressione, la densità e la temperatura dell’atmosfera, ricca di metano, azoto e molecole complesse a base di carbonio. Le analisi proseguiranno al suolo dopo l’impatto della sonda. I dati raccolti e le foto della superficie verranno trasmessi al modulo Cassini, che li invierà alla Terra.

Data l’enorme distanza tra Saturno e il Sole, le apparecchiature elettriche di Cassini-Huygens (http://www.jpl.nasa.gov/cassini/)non verranno alimentate da pannelli solari. A fornire la potenza necessaria sarà un generatore termoelettrico a radioisotopi. Il sistema sfrutta il calore prodotto dal naturale decadimento radioattivo di una certa quantità di plutonio-238, trasformandolo in energia elettrica.

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