Apri il sarcofago, scopri il passato

Palermo. L’operazione ‘Federico II’ è iniziata. Sui monitor le immagini di quattro uomini protetti da tute bianche, maschere e sovrascarpe che si muovono intorno al sarcofago in granito rosso. E’ la tomba di Federico II di Svevia, l’imperatore di Germania e re di Sicilia, morto nel 1250 in Puglia, a 56 anni, e trasportato per suo volere nella cattedrale di Palermo. E’ proprio qui che dal 2 novembre ha preso il via il programma di ricerche, condotto dall’Istituto Centrale del restauro (Icr) e dal Centro per il restauro e dalla soprintendenza regionali, che si concluderà a metà dicembre. Lo scopo è quello di esplorare il sarcofago dell’imperatore per riscrivere il passato, ma soprattutto per cercare di codificare un sistema di esplorazione delle tombe storiche e proporre un protocollo di conservazione che eviti gli inutili disastri del passato. Un esperimento senza precedenti, che vede unite scienza e medicina insieme all’archeologia. Ad una settimana dall’apertura dell’urna, Galileo ha chiesto a Rosalia Varoli Piazza, responsabile del progetto scientifico e storica dell’arte all’Icr, di raccontarci i primi risultati.

In questi giorni, telecamere miniaturizzate e strumenti endoscopici frugano il sarcofago di Federico II. Ci può descrivere come funziona questo nuovo metodo di ricognizione scientifica?

“Intorno al sarcofago abbiamo costruito una doppia ‘camera bianca’ per garantire un ambiente sterile e per mantenere condizioni di temperatura e umidità ottimali per la conservazione di materie organiche. Lo scopo di questa camera è di difendere l’imperatore da microorganismi moderni che potrebbero danneggiarlo. E lì, per tutto il periodo della ricerca, entreranno solo quattro tecnici per volta, coperti da tute speciali. In un’altra camera allestita esternamente ci sono i monitor e i video registratori con cui i ricercatori possono scrutare e studiare l’interno della tomba. L’apertura dell’urna è avvenuta sollevando il coperchio di porfido di soli 40 centimetri, una larghezza utile per l’ingresso degli occhi elettronici. Abbiamo già fatto i prelievi di microbiologia e stiamo proseguendo con la microaspirazione dei tessuti e delle polveri, e la loro analisi. In questi giorni procederemo con la radiografia e completeremo l’esame delle sostanze prelevate”.

Qual è lo stato di conservazione della salma? E’ ancora mummificata?

“Sì. Il suo volto si vede bene ed è ben conservato, anche se è ricoperto da polvere. Bisognerà, però, decidere come condurre il microscavo del viso senza danneggiarlo. Per il momento le altri parti del corpo non si vedono, perché sopra la salma di Federico II, nel 1300, furono deposti i corpi di due parenti aragonesi. Uno di questi è avvolto in un sacco, mentre dell’altro è rimasto lo scheletro”.

Tra tanti esami ci sarà anche il prelievo del Dna; questo permetterà di conoscere con precisione l’età in cui morì l’imperatore, e stabilire se si trattò di avvelenamento?

“Certamente. Le analisi sul Dna servono a scoprire molte cose sulla vita della persona e sulle sue caratteristiche genetiche. Questo studio rientra anche nel progetto genoma internazionale che studia le malattie antiche e moderne. Sarà il professore Albiro dell’università di Udine a fare il microprelievo del Dna. Normalmente il prelievo avviene su un corpo che può essere spostato, mentre noi non vogliamo modificare nulla nella composizione della tomba. Forse faremo un carotaggio o useremo un particolare ago, ma questo è ancora da decidere.”

Cosa vi aspettate da questa esplorazione?

“Innanzitutto, di conoscere lo stato di conservazione del contenuto del sarcofago, dei tessuti, delle vesti e di altri materiali. La ricognizione scientifica è stata preceduta da una endoscopia effettuata nel 1994 con l’introduzione di una microtelecamera in una incrinatura del coperchio. Già allora ci eravamo accorti che i resti dell’imperatore erano in forte degrado. Una volta accertate queste condizioni procederemo, forse, ad una disinfestazione dei microrganismi, con l’uso di gas.”

Quanti anni di studio ci sono voluti prima di iniziare le ricerche?

“Ci sono voluti tre anni, considerando però anche i tempi burocratici, che sono molto lunghi. Ma certamente un esperimento di questo tipo, che permette di studiare i reperti in modo assolutamente non distruttivo, non è mai stato condotto in nessun luogo del mondo”.

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