Arrivano i robot che si assemblano da soli

Prepariamoci a un futuro in cui i gadget saranno modulari. Dopo Phonebloks, lo smartphone assemblabile fai-da-te proposto dal designer olandese Dave Hakkens, anche i robot infatti stanno per diventare componibili, proprio come i Lego o i Meccano. Almeno stando al prototipo appena realizzato da un’équipe del Computer Science and Artificial Intelligence Laboratory (Csail) del Mit, un insieme di cubetti privi di parti mobili ma in grado di inerpicarsi l’uno sull’altro, saltare, rotolare e comporre forme complesse.

Si chiamano M-Blocks: all’interno di ciascuno di essi è presente un volano che può raggiungere la velocità di 20mila rotazioni al minuto. Il frenamento del volano impartisce un momento angolare che fa ruotare il cubo. Su ogni spigolo e ogni faccia, inoltre, sono disposti dei magneti permanenti grazie ai quali gli M-Blocks possono aderire l’uno all’altro. “È una di quelle cose che chi si occupa di robotica sta cercando di fare da molto tempo”, spiega Daniela Rus, docente di ingegneria elettrica e direttore del Csail. “Quello che mancava finora era una visione creativa dell’insieme e qualcuno abbastanza folle e appassionato per credere nell’idea”. Il folle è John Romanishin, che propose il progetto già nel 2011: nonostante allora non fu preso troppo sul serio (“Non si può fare”, lo liquidò Rus), decise comunuque di portare avanti le sue ricerche, con determinazione, fino ad arrivare all’attuale prototipazione del dispositivo. M-Blocks sarà presentato  ufficialmente alla comunità scientifica a novembre, in occasione della International Conference on Intelligent Robots and Systems di Tokyo

Come spiega Rus, i ricercatori che si occupano di robot riconfigurabili hanno a lungo utilizzato un’astrazione detta modello a cubo scorrevole. Se due cubi sono posti l’uno di fronte all’altro, uno di essi dovrebbe aderire all’altro e quindi, senza cambiare orientamento, scivolare fino alla sua sommità. È un modello che semplifica lo sviluppo di algoritmi di autoassemblaggio, ma i robot che lo implementano sono di solito dispositivi molto complessi. I sistemi modulari esistenti, tra l’altroo, sono anche “staticamente stabili”, nel senso che si può in ogni momento fermare il loro moto, facendoli immobilizzare in posizione di equilibrio. I ricercatori del Mit, invece, hanno deciso di non tener conto del principio della stabilità statica per semplificare l’architettura generale. È stato così che sono nati gli M-Blocks. 

Per compensare l’ instabilità, gli scienziati hanno dovuto inventarsi vari espedienti ingegneristici. Su ogni lato del cubo hanno montato due magneti cilindrici, posti a mo’ di mattarelli. Quando due cubi si avvicinano l’uno all’altro, i magneti ruotano, in modo che il polo nord di uno sia allineato con il polo sud dell’altro, e viceversa: in questo modo, qualsiasi faccia di un cubo può aderire con facilità a qualsiasi faccia di un altro. Lo spigolo, inoltre, è leggermente smussato, in modo tale che nella prima fase del movimento rimanga una piccola intercapedine tra i magneti; quando un cubo inizia a girare sopra l’altro, i magneti si toccano e il collegamento diventa molto forte, creando di fatto un perno stabile per la rotazione. Su ogni faccia ci sono altre quattro paia di magneti più piccoli, disposti simmetricamente, che facilitano l’ ancoraggio finale. 

La sfida dei ricercatori, a questo punto, è la miniaturizzazione dei cubi. Anche se, in realtà, il sistema potrebbe risultare già utile con le attuali dimensioni. I cubetti, per esempio, potrebbero riparare temporaneamente ponti o edifici durante le emergenze, o ergere e riconfigurare impalcature per la costruzione. Ma anche raggiungere ambienti ostili e inaccessibili agli esseri umani e assemblarsi in modo da fornire un passaggio. 

È già quasi pronto, intanto, un esercito di cento cubi, ciascuno dei quali può muoversi in ogni direzione. Ed è in via di sviluppo l’ algoritmo per guidarli: “Vogliamo che tutti i cubi, sparsi a caso sul pavimento, siano in grado di identificarsi l’un l’altro”, conclude Romanishin, “assemblarsi e costruire una sedia, o una scrivania, su richiesta”. 

Via: Wired.it

Credits immagine: M. Scott Brauer/Mit

Credits video: Melanie Gonick/Mit News

Sandro Iannaccone

Giornalista a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. È laureato in fisica teorica e collabora con le testate La Repubblica, Wired, L’Espresso, D-La Repubblica.

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