Medici senza frontiere: ebola in Congo è fuori controllo

“L’epidemia di ebola in Congo sfugge ancora al controllo: gli sforzi per contenerla stanno fallendo”. Non ha usato mezzi termini Joanne Liu, presidente di Medici Senza Frontiere, di ritorno dal Nord Kivu, nel Nord-est della Repubblica Democratica del Congo, dove è in corso la peggiore epidemia di ebola della storia del paese: 569 morti su 907 infetti. E dove nei giorni scorsi sono stati attaccati e distrutti due centri di Medici Senza Frontiere, a Katwa e Butembo, costringendo l’organizzazione a sospendere le attività in un momento critico e proprio quando era partita la sperimentazione clinica dei farmaci più efficaci.

Per la prima volta contro il virus i medici hanno a disposizione dei farmaci, ma a ostacolare i tentativi di contenimento, ha denunciato Liu, è la particolare instabilità della regione, da oltre un decennio luogo di scontri armati tra governo e gruppi locali. E in particolare, i metodi utilizzati dal governo per individuare tutti i possibili contagiati. Risultato: la popolazione non collabora, la catena del contagio non è tracciata e l’epidemia rischia di espandersi verso sud.


Ebola in Congo: i casi tra Nord Kivu e Ituri. Dati dell’Oms, aggiornati al 17 febbraio

L’epidemia in Nord Kivu

Il Nord Kivu è una regione al confine con Uganda e Ruanda ricchissima di risorse minerarie. Dal 2004 al 2008 fu teatro di una guerra tra l’esercito della Repubblica Democratica del Congo e il gruppo ribelle Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo, e ancora oggi di scontri tra esercito e bande armate locali. Secondo l’Onu, su sei milioni di abitanti, più di un milione sarebbero sfollati a causa dei conflitti: una delle situazioni umanitarie più complesse e impegnative a livello mondiale.

In questo contesto, lo spiegamento di mezzi nella lotta alla più grave epidemia di ebola in Congo – la seconda a livello mondiale –  appare sospetta agli occhi di chi per anni è stato lasciato in balia di bande armate e in condizioni di vita estreme e ora, causa ebola, privato anche dei diritti politici. Nella regione prevale l’opposizione al presidente uscente, Jospeh Kabila, al potere dal 2001 e molti, ha riferito Liu, pensano che la lotta a ebola da parte del governo abbia più motivazioni politiche che sanitarie. A fine dicembre, per esempio, le città di Beni e Butembo per il rischio contagio sono state escluse dalle contestate elezioni presidenziali, rinviate più volte dal 2016.

Crediti: Msf

La diffidenza della popolazione

Ad aggravare la diffidenza della gente c’è anche la militarizzazione dell’emergenza sanitaria: l’epidemia è trattata anzitutto come un problema di ordine pubblico. “La polizia forza le persone che sospetta essere contagiate a raggiungere i centri di cura, le persone non sono private di qualsiasi autonomia di decisione, isolate bruscamente e consegnate alle cure di operatori che indossano tute spaziali”, ha raccontato Liu. Per questo motivo molti preferiscono restare a casa e non raggiungere i centri: dall’inizio dell’anno più del 40% delle vittime di ebola in Congo è morta nelle proprie comunità.

Crediti: Msf

“Un giorno mi chiamano e mi dicono che un paziente scortato sta venendo nel nostro centro di trattamento”, racconta Ousmane Sene, referente medico MSF di Butembo. “Ma l’uomo non aveva nulla, era solo il fratello di un caso sospetto: la militarizzazione della malattia ha portato una persona sana in un luogo dove non doveva entrare”.

Infine, è la crisi umanitaria che le persone vivono da molto tempo a diminuire la percezione del rischio: in Nord Kivu anche le più comuni malattie possono essere mortali e molti soffrono denutrizione e condizioni di vita misere. “Sentono la raccomandazione di lavarsi le mani, ma niente sulla mancanza di acqua e sapone. Vedono flotte di auto sfrecciare per un solo malato, mentre le loro sofferenze sono state ignorate per anni”, racconta Liu.

Ricostruire la fiducia per fermare ebola in Congo

È in questa pesante atmosfera che solo nell’ultimo mese si sono verificati diversi attacchi contro attività anti ebola, tra cui gli incendi che hanno distrutto i centri Msf di Katwa e Butembo, nell’epicentro dell’epidemia, costringendo la ong a ritirarsi dalla zona per garantire la sicurezza dello staff e dei pazienti. MSF continuerà a operare nel Nord Kivu, a Kayna, Lubéru e nei centri di isolamento per ebola della vicina provincia di Ituri, mentre sul territorio restano il personale dell’Oms e quello del Ministero della Salute congolese.  

Il centro di Katwa bruciato il 24 febbraio. Crediti foto: Msf

Il problema è che non esiste ancora un quadro globale della diffusione del virus: “Del 35% dei nuovi pazienti non si conosce la catena di trasmissione, non si sa dove si sono ammalati”, ha detto Liu. Il sospetto è che l’epidemia sia più estesa di quanto si sappia e che la situazione possa aggravarsi seriamente. Nonostante 80 mila vaccinazioni e la disponibilità di farmaci,  l’epidemia non si è fermata e oggi muove verso sud, rischiando di raggiungere la città di Goma, dove vivono circa un milione di persone. “Per fermarla servono più mezzi, più vaccinazioni ma soprattutto un nuovo approccio più rispettoso delle persone. Nella risposta a ebola la comunità è un partner, i pazienti sono partner”, afferma la Liu. “Bisogna ricostruire la fiducia. Certamente non con la forza delle armi”.

Giancarlo Cinini

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