Fecondazione assistita: nel 2016, 600 diagnosi preimpianto

In Italia aumentano le coppie che ricorrono alla procreazione medicalmente assistita (Pma, o fecondazione assistita), che passano da poco più di 74mila nel 2015 a circa 77.500 nel 2016. Questi dati sono stati resi noti dalla relazione 2018 della ministra della Salute al Parlamento, che contiene anche (dopo anni di richieste, sottolinea l’associazione Luca Coscioni) i dati sulle diagnosi preimpianto. È la prima volta che vengono resi noti, infatti, dopo l’entrata in vigore della legge40/04.

La legge in questione prevede che la coppia, che sia infertile, sterile o fertile ma con patologie genetiche (quest’ultimo caso previsto a partire dal 2015) possa conoscere lo stato di salute dell’embrione prima del trasferimento nell’utero. La diagnosi, dunque, può essere effettuata in caso di Pma di secondo e terzo livello (fecondazione in vitro) e non di primo livello (inseminazione) e serve a valutare la presenza di patologie genetiche dell’embrione. Le indagini utilizzate sono due, come spiega il ministero della Salute: si tratta della diagnosi genetica preimpianto (Pgd), per individuare malattie genetiche gravi che coinvolgono un solo gene, come la talassemia o la fibrosi cistica, e lo screening genetico preimpianto (Pgs), che analizza i difetti cromosomici negli ovociti o negli embrioni.

In base ai dati del Ministero, i centri che effettuano queste diagnosi sono 35, di cui 23 privati, 8 privati convenzionati e 4 pubblici. Tali centri sono distribuiti in tutta Italia, con maggiore presenza nella parte centrale (in cima alla classifica il Lazio, con 8 centri, e la Toscana, con 5 centri).

I bambini nati vivi con la fecondazione assistita per cui erano state svolte indagini preimpianto sono 599. Sempre in base ai dati gli embrioni ottenuti che sono non evolutivi, ovvero la loro crescita si blocca – motivo di interruzione dei cicli di fecondazione in vitro – sono stati 779 in tutto. Il principale motivo di interruzione dei cicli di fecondazione in vitro prima dell’impianto in utero consiste nell’evitare il rischio di iperstimolazione ovarica severa, che consiste nell’ingrossamento delle ovaie e nel passaggio di liquidi dal distretto vascolare ad altri tessuti, che in certi casi richiede il ricovero in terapia intensiva. Mentre nel 2016 13.582 sono i bambini nati grazie a tutte le tecniche di procreazione medicalmente assistita, contro i 12.836 del 2015.

I dati, infatti, parlano di una crescita delle coppie che hanno avuto accesso alla procreazione medicalmente assistita, omologa e eterologa, sia di primo (inseminazione) che di secondo e terzo livello (fecondazione in vitro): tali coppie sono passate da 74.292 a 77.522 dal 2015 al 2016 e i cicli effettuati da da 95.110 a 97.656.“L’aumento è fondamentalmente correlato alla fecondazione eterologa e alle tecniche omologhe con crioconservazione di gameti”, si legge in una nota del ministero della Salute. Aumenta infatti, l’applicazione delle tecniche con donazione di gameti, ovvero l‘eterologa, e i bambini nati con queste tecniche, che passano da 601 nel 2015 a 1.457, una crescita pari al 142% (sono più che raddoppiati).

E si conferma l’aumento progressivo delle donne con più di 40 anni che accedono alla fecondazione assistita: nel 2005 erano il 20,7%, mentre nel 2016 la percentuale sale al 35,2%. Nell’eterologa maschile, con donazione di seme, l’età media della donna che ricorre alla pma è di circa 35 anni, mentre in quella femminile, con donazione di ovociti, l’età media è di circa 41 anni: questo dato mostra come nel caso femminile questa tecnica sia scelta soprattutto per infertilità fisiologica, dovuta all’età della donna, e non per patologie specifiche.

Via Wired.it

Viola Rita

Giornalista scientifica. Dopo la maturità classica e la laurea in Fisica, dal 2012 si occupa con grande interesse e a tempo pieno di divulgazione e comunicazione scientifica. A Galileo dal 2017, collabora con La Repubblica.it e Mente&Cervello. Nel 2012 ha vinto il premio giornalistico “Riccardo Tomassetti”.

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