I segreti di Jetman, l’uomo volante

Si chiama Yves Rossy ma in tutto il mondo lo chiamano Jetman, e se fate una ricerca per immagini su Google il motivo vi sembrerà piuttosto chiaro. Rossy infatti è l’uomo volante, l’inventore svizzero già protagonista di acrobazie in aria, di sorvoli sopra il Grand Canyon e della traversata della Manica, grazie a un’ala che si porta sulle spalle. Nei giorni scorsi Rossy è stato anche tra i principali protagonisti dell’Experimental Aircraft Association AirVenture 2013 a Oshkosh (Wisconsin), dove ha volato a fianco di un Boeing B-17 (la fortezza volante). Presente anche Wired.com che racconta come si svolge un volo di Jetman

Ex comandante di Airbus per la Swiss International Air Lines, da circa quattro anni si dedica a tempo pieno ai propri voli in solitaria. Anche se l’idea risale agli anni Novanta. Nel frattempo Rossy, oggi cinquantatreenne, di wingpack ne ha cambiati diversi: ha costruito una dozzina di ali, migliorando di volta in volta la tecnologia, fino a utilizzare oggi un’ala in fibra di carbonio che monta sotto quattro motori a reazione ed ha un’apertura di circa due metri per peso di 55 kg (carburante compreso). Durante il volo Rossy fa affidamento solo sul movimento del corpo come sistema di controllo del volo

In effetti la cabina di pilotaggio di Jetman è piuttosto ridotta: conta un altimetro, un timer – che funziona da indicatore del livelli di carburante, considerato che 30 litri possono fornire la spinta necessaria per circa 10 minuti – e il comando dell’acceleratore, un piccolo dispositivo legato alla mano del pilota. 

Con questa strumentazione a disposizione Rossy è pronto a volare: si fa portare in alto (circa un paio di km) da un elicottero, controlla che tutto funzioni a dovere e poco prima di lanciarsi, neanche un minuto, accende i motori attendendo che arrivino al minimo e quindi giù nell’aria. Dopo il tuffo Rossy aggiusta la velocità e la propria postura giocando su accelerazione e movimenti del corpo fino a raggiungere la posizione di volo orizzontale, muovendosi a circa 110 mph (177km/h). 

Come già accennato, Rossy usa solo i propri sensi come sistemi di controllo, in maniera piuttosto intuitiva, un po’ come si fa quando si scia, racconta. “Bisogna solo svegliare questi sensi. All’interno di un aereo noi deleghiamo tutto questo agli strumenti. In questo modo non siamo svegli con il nostro corpo”. Alla fine, quando il timer si avvicina ai 10 minuti, Rossy sa che deve azionare il paracadute, e cominciare l’ultima fase del volo: il ritorno a terra. 

Via: Wired.it

Credits immagine: gordontour/Flickr

Anna Lisa Bonfranceschi

Giornalista scientifica, a Galileo Giornale di Scienza dal 2010. È laureata in Biologia Molecolare e Cellulare e oggi collabora principalmente con Wired e La Repubblica.

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