Il computer che ha superato il test di Turing

    “Propongo di considerare la seguente questione. ‘Le macchine sono in grado di pensare?’. Si dovrebbe iniziare con le definizioni dei significati dei termini ‘macchina‘ e ‘pensiero‘”. Scriveva così Alan Turing, il leggendario pioniere dell’informatica, oltre sessant’anni fa. E, naturalmente, aveva pronta una soluzione. “Si può descrivere una nuova forma del problema in termini di un gioco che chiamiamo ‘gioco dell’imitazione’. Si gioca in tre, un uomo (A), una donna (B) e un interrogatore (C ) […]. L’interrogatore è in una stanza a parte rispetto agli altri due. Lo scopo del gioco per l’interrogatore è di determinare chi tra A e B è l’uomo e chi è la donna. Li conosce solo come X e Y, e alla fine del gioco può dire ‘X è A e Y è B’ oppure ‘X è B e Y è A’”. Perché l’interrogatore non possa aiutarsi ascoltando il tono della voce o la calligrafia, le risposte di A e B dovrebbero essere scritte a macchina. “Ora facciamoci la domanda: cosa succederebbe se una macchina prendesse il posto di A? L’interrogatore sbaglierebbe con la stessa frequenza di errore di quando il test è eseguito da un uomo e una donna? Queste domande sostituiscono la domanda originale: le macchine sono in grado di pensare?”.

    La risposta, finora, era un secco no. Nessuna macchina è mai stata capace di ingannare più di un terzo degli interrogatori umani. Finché non è arrivato Eugene Goostman, un computer – o meglio un cleverbot, cioè un programma in grado di sostenere conversazioni – messo a punto da Vladimir Veselov e Eugene Demchenko. Gootstman, in quella che è già stata definita “pietra miliare nella storia dell’informatica”, è riuscito a superare il test di Turing, convincendo il 33% dei giudici che fosse un ragazzo di 13 anni. È successo davanti a una platea d’eccezione, la Royal Society di Londra, “la casa della scienza inglese, la scena dei più importanti avanzamenti scientifici della storia”, ha commentato Kevin Warwick, della University of Reading.

    Eugene Goostman, in realtà, era già andato vicino all’impresa. Già vincitore del premio Loebner nel 2005, nel 2012 era riuscito a convincere il 29% dei suoi interrogatori che fosse un essere umano. Un ottimo risultato, ma ancora insufficiente per cantare vittoria. Stavolta non c’è stata storia: nel corso delle 150 conversazioni sostenute, risposta dopo risposta, Eugene ha stracciato i suoi quattro concorrenti e ha strappato il consenso a più di un terzo dei giudici. Uno di loro, Robert Llewellyn, ha twittato: “Il test di Turing è stato incredibile. 10 sessioni di 5 minuti, 2 schermi, un essere umano, una macchina. Ho indovinato quattro volte. Piccolo robot intelligente!”.

    “Annunciamo con estremo orgoglio”, ha detto Warwick, “che, per la prima volta al mondo, è stata superata la prova di Alan Turing”. L’evento è avvenuto in concomitanza con il sessantesimo anniversario della morte dello scienziato, che si suicidò dopo essere stato condannato alla castrazione chimica a causa della sua omosessualità.

    In ogni caso, non mancano gli scettici. Il fatto che Gootsman simuli un ragazzo di 13 anni non madrelingua inglese , per ammissione dei suoi stessi creatori, “rende perfettamente ragionevole supporre che non sappia molte cose”. E potrebbe essere stato questo, più che la reale intelligenza del bot, a confondere i giudici. “Tecnicamente è giusto”, commenta io9, “ma fa un po’ meno impressione, dal punto di vista cognitivo. Il computer non sta pensando davvero: è un simulatore sofisticato di conversazioni umane”. Scusate se è poco.

    Via: Wired.it

    Credits immagine: Mr Ush/Flickr

    2 Commenti

    1. Una caratteristica fondamentale del nostro cervello è che si trova “impiantato” all’interno di un organismo vivente.
      E la “corporeità” condiziona (anche incosciamente) il nostro pensare razionale.
      A porre le domande dovrebbero essere psicologi che sappiano distinguere dal tono delle risposte se siamo di fronte ad un essere umano e se siamo di fronte ad una “intelligenza angelica” che al massimo può “fingere” di provare una corporeità che non ha.
      In effetti fingendo il computer di essere un ragazzo di “soli” 14 anni gli sperimentatori si sono messi al riparo da tutte quelle tempeste ormonali che caratterizzano gli essere umani dopo i 14 anni.

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