Impariamo dalle foglie

L’idrogeno, ce lo sentiamo ripetere in continuazione, è la chiave del nostro futuro energetico. Vettore di energia pulito e inesauribile, potrebbe in futuro sostituire i combustibili fossili nei mezzi di trasporto o nella produzione di elettricità. Il problema è: come procurarselo?

In un articolo appena uscito su Proceedings of the National Academy of Sciences, due ricercatori, Nathan Lewis del California Institute of Technology e Daniel Nocera del Massachusetts Institute of Technology, propongono di imparare dalle foglie. E unire gli sforzi per mettere a punto dei sistemi di fotosintesi artificiale, che utilizzino l’energia solare per scindere e ricreare legami chimici in modo da immagazzinare quell’energia e renderla disponibile nel tempo.

Il Sole, si sa, è in linea di principio la migliore fonte di energia di cui disponiamo. Ma le tecnologie attuali per sfruttarlo, in particolare le celle fotovoltaiche, sono troppo costose, e soprattutto poco efficienti: producono elettricità solo quando esposte al Sole, e quindi non possono garantire una fornitura continua, e la loro utilità in molte zone del Pianeta è decisamente limitata.

Alcune possibili soluzioni sono di immagazzinare l’elettricità prodotta dai pannelli fotovoltaici in batterie chimiche, ma al momento anche questa è una soluzione decisamente troppo costosa e inefficiente; così come quella di immagazzinare quell’energia in forma meccanica, per esempio mettendo in movimento delle turbine per spostare verso l’alto dell’acqua che poi potrà scendere a valle per ricreare energia idroelettrica. Ma anche questo metodo, scrivono Lewis e Nocera, non sarebbe efficiente per compensare il ciclo diurno dell’energia solare. L’unica possibilità è quindi trovare il modo di produrre carburanti a partire dall’energia solare, che possano poi essere usati in seguito.

E qui entrano in gioco le foglie. “Le foglie sono delle autentiche maestre nello spezzare i legami chimici dell’acqua per ottenere ossigeno e idrogeno. Con la fotosintesi”. In realtà, spiegano i due ricercatori, la fotosintesi di per sé è un processo piuttosto inefficiente, se misurato su base annua e per unità di superficie. Ma è una buona ispirazione. Un sistema di fotosintesi artificiale potrebbe, spiegano i due ricercatori, usare la luce solare per produrre ossigeno in forma molecolare, da liberare nell’atmosfera perché sia disponibile in seguito come reagente, e un combustibile, come l’idrogeno; oppure, nel caso si parta non dall’acqua ma dall’anidride carbonica atmosferica, un idrocarburo come metano o metanolo. “Il punto è accoppiare un sistema di raccolta della luce e di separazione di cariche elettriche, che produca quindi un flusso di protoni ed elettroni attraverso una membrana, a catalizzatori che facilitino la rottura dei legami chimici dell’acqua e la formazione dei nuovi legami chimici tra atomi di ossigeno e di idrogeno”.

Suona facile a dirsi ma meno a farsi. Di per sé, scindere l’acqua in idrogeno e ossigeno con l’aiuto di corrente elettrica è roba da studenti di liceo. Il problema è che serve molta energia elettrica, più di quanta se ne potrebbe ottenere poi dall’idrogeno così ricava. Nelle prove di laboratorio Nocera e Lewis sono riusciti a usare la luce di un laser per ottenere idrogeno a partire da acido cloridrico, una reazione che richiede meno energia di quella dall’acqua.

Per rendere queste reazioni efficienti e utilizzabili a costi ragionevoli servono grandi progressi a livello di scienza di base. Nuovi materiali per i pannelli fotovoltaici, per cominciare, che consentano di produrre energia in modo più efficiente e separare le cariche elettriche senza bisogno dei costosissimi semiconduttori puri. Anche la chimica dovrà fare la sua parte, perché serviranno nuovi catalizzatori per favorire le reazioni chimiche che dovranno dividere l’acqua. “Alle piante ci sono voluti circa due miliardi di anni per capire come separare idrogeno e ossigeno usando la luce solare. Noi avremo bisogno almeno di altri vent’anni” sintetizza Nocera.

Nicola Nosengo

Scrittore e giornalista. Dopo essersi laureato in Scienze della Comunicazione all'Università di Siena ed aver frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste, si dedica al giornalismo scientifico, scrivendo articoli sulla tecnologia, sulle neuroscienze e sulla medicina. Pubblica nel 2003 il suo primo lavoro L'estinzione dei tecnosauri, in cui parla di tutte le tecnologie che non sono sopravvissute allo scorrere del tempo. Attualmente tiene una rubrica mensile sulla rivista Wired dedicata allo stesso tema.Tra il 2003 e il 2007 collabora con diverse redazioni come L'espresso, La Stampa, Le Scienze, oltre che aver partecipato alla realizzazione dell'Enciclopedia Treccani dei Ragazzi.Nel 2009 ha pubblicato, con Daniela Cipolloni, il suo secondo libro, Compagno Darwin, sulle interpretazioni politiche della teoria dell'evoluzione.

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