Con il trapianto di pelle da cadavere si possono curare ustioni molto gravi, ulcere provocate da diabete, vasculopatie o da una gravissima intolleranza ai farmaci (malattia di Lyell). In Italia la tecnica è stata introdotta da poco più di un anno e gli italiani che hanno subito questo tipo di intervento sono almeno 100. Cruciale la presenza sul territorio delle banche della pelle – le prime in funzione sono a Cesena, Siena, Torino, Bari e Palermo -, laboratori dove il tessuto viene prelevato da donatori multiorgano, congelato e conservato in azoto liquido a 196 gradi sotto zero. “Si tratta di trapianti temporanei”, ha affermato ieri il presidente dell’Associazione dei dermatologi ospedalieri, Giorgio Landi durante il congresso di Dermatologia e Venerologia in corso di svolgimento nella capitale, “la cui funzione e’ permettere di rinnovare, coltivandolo artificialmente, il tessuto del paziente nell’arco di due o tre settimane”. Nella prima fase del trapianto la cute del donatore viene impiantata senza rischio di rigetto perché il sistema immunitario del paziente è indebolito. Tale rischio si manifesta dopo circa 15 giorni e a provocarlo è lo strato superficiale della cute. E proprio durante queste due settimane i frammenti di epidermide del paziente sono coltivati in laboratorio per poi sostituirli a quella del donatore. Nel frattempo le cellule dello strato profondo della cute del paziente si sono moltiplicate fino a sostituire quella del donatore. (l.g.)
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