Le memorie che verranno

Conservare centinaia di sms nel cellulare, scattare decine e decine di foto digitali, ascoltare tutti i nostri brani preferiti in versione Mp3. Gesti di ordinaria quotidianità, possibili grazie alle memorie flash contenute nei dispositivi elettronici. Archivi che il mercato vuole sempre più capienti e allo stesso tempo più piccoli, così da registrare i dati in modo veloce e, soprattutto, economico. La corsa alla ricerca di “memorie nuove” sta impegnando i laboratori di tutto il mondo, come testimonia l’articolo di Greg Atwood, senior fellow del Gruppo Ricerca e Sviluppo della Numonyx, co-direttore del California Technology Center e autore di 35 brevetti, pubblicato su Science.  

La scalabilità – cioè la riduzione delle dimensioni – è la forza che muove l’industria dei semiconduttori. Se si cerca un’alternativa è perché nelle memorie flash esiste un limite fisico al numero di informazioni che possiamo immagazzinare. Oggi una di queste memorie può contenere al massimo sedici miliardi di bit (venti anni fa, le prime generazioni avevano una densità inferiore al Mbit), e si è raggiunta una dimensione minima di circa 45 nanometri. E mentre il mercato chiede dispositivi sempre più compatti, noi sappiamo già che le loro dimensioni difficilmente scenderanno sotto i 20 nanometri. I dati, infatti, vengono registrati come cariche elettriche (presenza e assenza di carica rappresentano “1” e “0” del codice binario) e se gli elettroni si trovano troppo vicini rischiano di darsi fastidio.

Niente cariche quindi nelle memorie del futuro. L’industria punta soprattutto su due tecnologie, quella delle memorie a cambiamento di fase e quella delle memorie a switch resistivo (o RRAM). Entrambe si basano sullo stesso principio: applicando una corrente oltre una certa tensione è possibile provocare un surriscaldamento all’interno di un isolante e modificarlo o degradarlo localmente (in un’area di pochi nanometri). Nelle memorie a cambiamento di fase, per esempio, la struttura atomica passa da uno stato cristallino a uno caotico, e le due fasi (che hanno proprietà conduttive differenti) rappresentano gli “1” e gli “0” del codice binario. Modulando la tensione si può scrivere le informazioni, leggerle e – caratteristica fondamentale perché le memorie siano riutilizzabili – cancellarle. Anche per le memorie a switch resistivo la chiave sta nel riuscire a modificare, in spazi nanometrici, la conduttività del materiale. Questo tipo di tecnologie consentono anche di realizzare strutture tridimensionali. Su una stessa area (e quindi con lo stesso costo) si possono impilare “strati di memorie”: poiché i clienti pagano “a bit”, i margini di guadagno possono essere molto elevati.

Secondo Atwood, le memorie a cambiamento di fase sono le migliori candidate a sostituire quelle flash. E con lui concorda Daniele Ielmini, docente e ricercatore presso il Dipartimento di Elettronica ed informazione al Politecnico di Milano: “Le RRAM sono a uno stadio embrionale” racconta a Galileo il ricercatore, “e una dimostrazione di dispositivo ad alta densità e affidabilità deve ancora venire”. Se ne era fatto un gran parlare circa due mesi fa, in seguito allo studio dei ricercatori dell’Hewlett-Packard pubblicato su Nature dedicato al memristor, una  nuova tecnologia RRAM che avrebbe aperto le porte a computer in grado di sopportare le improvvise interruzioni di corrente, e a memorie dall’efficienza finora impensata. Vero in teoria, ma in pratica ne siamo lontani. “Allo studio sui memristor è stata data un’enfasi esagerata”, commenta Ielmini: “perché i ricercatori dell’Hp non hanno ottenuto nulla di nuovo”. L’unica novità consiste nell’interpretazione microscopica secondo cui delle impurezze (droganti) nel materiale si spostano attraverso il sistema, modificando localmente la resistenza del materiale. Gli ingegneri dell’Hp prima hanno descritto un modello matematico ideale, poi si sono accorti che il comportamento previsto dal modello ricordava quello di una struttura di ossido di titanio realizzata in precedenza. “L’attribuzione di questo modello matematico ideale alla struttura sperimentale appare arbitraria”, continua il ricercatore, “Gli stessi autori hanno però recentemente annunciato di aver dimostrato praticamente il loro modello, e in molti sono impazienti di apprendere i dettagli dell’esperimento. Questo non deve rendere perplessi sulla tecnologia RRAM che, come testimoniano anche i nostri studi sull’ossido di nichel, è estremamente promettente”.

Tuttavia, è ancora presto per memristor e dispositivi RRAM commerciali. Almeno cinque anni ancora, secondo Ielmini. Meglio per le memorie a cambiamento di fase, anche se nessuno ha mai realizzato un circuito che abbia una capienza di svariati gigabyte. Ci stanno lavorando soprattutto la Samsung (gigante delle memorie ad alta densità), la Micron e l’Hitachi. In Italia, la più grande industria che fa ricerca è proprio la Numonyx ad Agrate Brianza, nata dalla fusione parziale di StMicroelectronics e Intel, con cui collabora il Politecnico di Milano. Con le memorie a cambiamento di fase per ora si è arrivati a “racchiudere” 512 Megabyte in 90 nanometri. Ma la promessa è di realizzare dispositivi dalle dimensioni di appena 5 nanometri in matrici di centinaia di Gigabyte, riscrivibili per oltre un miliardo di volte.

Tiziana Moriconi

Giornalista, a Galileo dal 2007. È laureata in Scienze Naturali (paleobiologia) e ha un master in Comunicazione della Scienza conseguito alla Scuola Superiore di Studi Avanzati di Trieste. Collabora con D la Repubblica online, Salute SenoLe Scienze, Science Magazine (Ed. Pearson), Wired.it.

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